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Aging in speech production is a multidimensional process. Biological, cognitive, social, and communicative factors can change over time, stay relatively stable, or may even compensate for each other. In this longitudinal work, we focus on stability and change at the laryngeal and supralaryngeal levels in the discourse particle euh produced by 10 older French-speaking females at two times, 10 years apart. Recognizing the multiple discourse roles of euh, we divided out occurrences according to utterance position. We quantified the frequency of euh, and evaluated acoustic changes in formants, fundamental frequency, and voice quality across time and utterance position. Results showed that euh frequency was stable with age. The only acoustic measure that revealed an age effect was harmonics-to-noise ratio, showing less noise at older ages. Other measures mostly varied with utterance position, sometimes in interaction with age. Some voice quality changes could reflect laryngeal adjustments that provide for airflow conservation utterance-finally. The data suggest that aging effects may be evident in some prosodic positions (e.g., utterance-final position), but not others (utterance-initial position). Thus, it is essential to consider the interactions among these factors in future work and not assume that vocal aging is evident throughout the signal.
Con la sua proposta di una Somaestetica, articolata fondamentalmente in analitica, pragmatica e pratica, Richard Shusterman intende in primo luogo fornire e creare una cornice metodologica, un orientamento unitario che sia in grado di rintracciare, ricostruire e portare a manifestazione - all’interno di eterogenee riflessioni teoriche e pratiche somatiche - la comune esigenza di ridare luce alla dimensione corporea come modo primario di essere nel mondo. Recuperando l’accezione baumgarteniana di Aesthetica come gnoseologia inferiore, arte dell’analogo della ragione, scienza della conoscenza sensibile, la somaestetica intende dare nuovo impulso alla più profonda radice di estetica e filosofia che coglie la vita nel suo processo di metamorfosi e rigenerazione continua, in quel respiro vitale che, per quanto possa diventare cosciente, non è mai totalmente afferrabile dalla ragione discorsiva, situandosi piuttosto in quello spazio primordiale in cui coscienza e corpo si coappartengono, in cui il soggetto non è ancora individualizzabile perché fuso con l’ambiente, non è totalmente privatizzabile perché intrinsecamente plasmato dal tessuto sociale cui egli stesso conferisce dinamicamente forma. A partire dunque dalla rivalutazione del concetto di Aisthesis la disciplina somaestetica mira ad una intensificazione di sensorialità, percezione, emozione, commozione, rintracciando proprio nel Soma la fonte di quelle facoltà “inferiori” irriducibili a quelle puramente intellettuali, che permettono di accedere alle dimensioni qualitative dell’esperienza, di portare a manifestazione e far maturare l’essere umano come essere indivisibile che non si lascia incontrare da un pensiero che ne rinnega l’unitarietà in nome di fittizie e laceranti distinzioni dicotomiche. Nel corpo infatti si radicano in modo silente regole, convenzioni, norme e valori socioculturali che determinano e talvolta limitano la configurazione ed espressione di sensazioni, percezioni, cognizioni, pensieri, azioni, volizioni, disposizioni di un soggetto da sempre inserito in una Mitwelt (mondo comune), ed è allora proprio al corpo che bisogna rivolgersi per riconfigurare più autentiche modalità di espressione del soggetto che crea equilibri dinamici per mantenere una relazione di coerenza con il più ampio contesto sociale, culturale, ambientale. L’apertura al confronto con eterogenee posizioni filosofiche e l’intrinseca multidisciplinarietà spiegano la centralità nel contemporaneo dibattito estetologico internazionale della Somaestetica che, rivolgendosi tanto ad una formulazione teorica quanto ad una concreta applicazione pratica, intende rivalutare il soma come corporeità intelligente, senziente, intenzionale e attiva, non riducibile all’accezione peccaminosa di caro (mero corpo fisico privo di vita e sensazione). Attraverso la riflessione e la pratica di tecniche di coscienza somatica si portano in primo piano i modi in cui il sempre più consapevole rapporto con la propria corporeità come mediatamente esperita e immediatamente vissuta, sentita, offre occasioni autentiche di realizzazione progressiva di sé innanzitutto come persone, capaci di autocoltivazione, di riflessione cosciente sulle proprie abitudini incorporate, di ristrutturazione creativa di sé, di intensificata percezione e apprezzamento sensoriale sia nel concreto agire quotidiano, sia nella dimensione più propriamente estetologica di ricezione, fruizione e creazione artistica. L’indirizzo essenzialmente pragmatista della riflessione di Shusterman traccia così una concezione fondamentalmente relazionale dell’estetica in grado di porsi proprio nel movimento e nel rapporto continuamente diveniente di vera e propria trasformazione e passaggio tra le dimensioni fisiche, proprio-corporee, psichiche e spirituali del soggetto la cui interazione, ed il cui reciproco riversarsi le une nelle altre, può risultare profondamente arricchito attraverso una progressiva e sempre crescente consapevolizzazione della ricchezza della dimensione corporea in quanto intenzionale, percettiva, senziente, volitiva, tanto quanto vulnerabile, limitante, caduca, patica. Il presente lavoro intende ripercorrere ed approfondire alcuni dei principali referenti di Shusterman, focalizzandosi prevalentemente sulla radice pragmatista della sua proposta e sul confronto con il dibattito di area tedesca tra estetica, antropologia filosofica, neofenomenologia e antropologia medica, per riguadagnare una nozione di soma che proprio a partire dal contrasto, dall’impatto irriducibile con la potenza annullante delle situazioni limite, della crisi possa acquisire un più complesso e ricco valore armonizzante delle intrinseche e molteplici dimensioni che costituiscono il tessuto della soggettività incarnata. In particolare il primo capitolo (1. Somaestetica) chiarisce le radici essenzialmente pragmatiste della proposta shustermaniana e mostra come sia possibile destrutturare e dunque riconfigurare radicati modi di esperienza, rendendo coscienti abitudini e modi di vivere che si fissano a livello somatico in modo per lo più inavvertito. Il confronto con la nozione di Habitus, di cui Pierre Bourdieu mette brillantemente in luce l’invisibile e socialmente determinata matrice somatica, lascia scorgere come ogni manifestazione umana sia sostenuta dall’incorporazione di norme, credenze, valori che determinano e talvolta limitano l’espressione, lo sviluppo, persino le predisposizioni e le inclinazioni degli individui. Ed è proprio intervenendo a questo livello che si può restituire libertà alle scelte e aprirsi così alle dimensioni essenzialmente qualitative dell’esperienza che, nell’accezione deweyana è un insieme olistico unitario e coeso che fa da sfondo alle relazioni organismo-ambiente, un intreccio inestricabile di teoria e prassi, particolare e universale, psiche e soma, ragione ed emozione, percettivo e concettuale, insomma quell’immediata conoscenza corporea che struttura lo sfondo di manifestazione della coscienza.
Hegel's many remarks that seem to imply that philosophy should proceed completely a priori pose a problem for his philosophy of nature since, on this reading, Hegel offers an a priori derivation of empirical results of natural sciences. We show how this perception can be mitigated by interpreting Hegel's remarks as broadly in line with the pre-Kantian rationalist notion of a priori and offer reasons for doing so. We show that, rather than being a peculiarity of Hegel's philosophy, the practice of demonstrating a priori the results of empirical sciences was widespread in the pre-Kantian rationalist tradition. We argue that this practice was intelligible in light of the notion of a priori that was still quite prominent during Hegel's life. This notion of a priori differs from Kant's in that, while the latter's notion concerns propositions, the former concerned only their demonstration. According to it, the same proposition could be demonstrated both a posteriori and a priori. Post-Kantian idealists likewise developed projects of demonstrating specific scientific contents a priori. We then make our discussion more concrete by examining a particular case of an a priori derivation of a natural law, namely the law of fall, by both Leibniz and Hegel.
Alexander von Humboldt has been labelled a “scientific cosmopolitan”. Through his vast correspondence and a network of personal contacts, he upheld a form of scientific exchange that was characteristic of the eighteenth-century “republic of letters”. This article examines how Humboldt adapted this cosmopolitan tradition of communication to a nineteenth century scientific culture that was largely institutionalized and was becoming increasingly nationalized. Humboldt quite successfully fostered scientific exchange between Berlin and Paris after 1830 and, on various occasions between the 1830s and 1850s, readily advocated international large-scale projects. These examples demonstrate that Humboldt observed the development of nationally defined scientific cultures and the opening of the sciences towards the public realm. Moreover, they indicate how he was able to make use of these developments as he promoted the sciences in Prussia. In scientific controversies within the Parisian scientific community, Humboldt was involuntarily assigned the role of a “neutral” foreign arbitrator. Thus, the development of nineteenth century sciences also jeopardized Humboldt’s unique position as an independent “homme des lettres”.
The aim of this paper is to discuss the relation between our experience in everyday life and ontological reflection. While many accounts in contemporary ontology still defend the idea that the world consists only of material objects, some new views on everyday metaphysics or social ontology which try to articulate the specific properties of the objects used and found in ordinary life have been established during the last years. In the critical ontology of Nicolai Hartmann, the social and cultural dimension of our life is situated in the sphere of spiritual being [Geistiges Sein]. By investigating the methodical relation of phenomenology and critical ontology as well as specific entities (objective spirit, cultural objects), it is established that Hartmann offers a wide and methodologically reflected view which could be able to satisfy the practical significance of these entities.
Der Kunst wird seit langem nachgesagt, dem Subjekt ein anderes Verhältnis zur Natur zu eröffnen, als dies die gewöhnliche theoretische oder praktische Erkenntnis ermöglicht. Statt die Natur zum distanzierten Objekt unserer Betrachtung zu machen oder zum bloßen Material und Mittel unserer praktischen Konstruktionen, erschließt sich uns in der Kunst eine Intelligibilität der Natur, die weiter reicht als unsere Begriffe, und eine Natürlichkeit unserer selbst, die uns mit dem verbindet, was uns sonst bloß gegenübersteht. Vor diesem Hintergrund scheint es nicht verwunderlich, dass die jüngeren Diskussionen um das problematische Verhältnis zur Natur, die das Anthropozän geprägt haben, immer wieder den Blick auf die Kunst richten und ihr Vermögen hervorheben, den problematischen modernen Gegensatz von Subjekt und Objekt, Geist und Natur zu überwinden, der uns in diese missliche Lage gebracht hat. Wenn die Kunst hier aber weiterführen soll, dann muss sie über die klassischen ästhetischen Paradigmen des Schönen und des Erhabenen hinausführen. Das Schöne träumt von einer Passung von Subjekt und Natur, die im Anthropozän gerade in Frage steht, und das Erhabene verwendet die Übermacht der Natur als Vehikel, um eine Macht im intelligiblen Subjekt zu markieren, die von der natürlichen Übermacht unberührt bleibt. Diese klassischen Figuren ästhetischer Erfahrung verstellen so, wie tiefgreifend wir das Naturverhältnis neu bestimmen müssen, um auf das Anthropozän zu antworten.
Analytic Kantianism
(2017)
Wilfrid Sellars and John McDowell can both be read as proponents of Analytic Kantianism. However, their accounts differ in important detail. In particular, McDowell has criticized Sellars’s account of sensory consciousness in a number of papers (most notably in LFI and SC), both as a reading of Kant and on its systematic merits. The present paper offers a detailed analysis of this criticism and a defense of Sellars’s position against the background of a methodology of transcendental philosophy.
Anerkennung und Macht
(2021)
In der vorliegenden Untersuchung habe ich das Ziel verfolgt, einen sachlich-eigenständigen Beitrag für eine Debatte gegen Honneths kritische Gesellschaftstheorie zu leisten. In dieser Debatte wird Honneth dahingehend kritisiert, dass es ihm mit seiner kritischen Gesellschaftstheorie entgegen seiner eigenen systematischen Zielsetzung nicht gelingt, in modernen liberaldemokratischen Gesellschaften sämtliche Phänomene von sozialer Herrschaft kritisch zu hinterfragen. Denn soziale Anerkennung, die Honneth als Schlüsselbegriff für diese kritische Hinterfragung behandelt, bei der soziale Herrschaft in Verbindung mit sozialer Missachtung (als mangelnde soziale Anerkennung) steht, kann laut der Kritik faktisch selbst ein Medium für die Stiftung von sozialer Unterwerfung sein. Dies geschieht in Prozessen von Identitätsentwicklung, in denen soziale Anerkennung für Individuen als Anerkannte bestimmte Identitätsmöglichkeiten einräumt und auf diese Weise gleichzeitig andere Identitätsmöglichkeiten ausschließt, womit sie auf diese Identität einschränkend und insofern herrschend wirkt. Es handelt sich um eine Form von sozialer Herrschaft, die durch soziale Anerkennung gestiftet wird. Honneth zieht dem Vorwurf zufolge nicht in Erwägung, dass soziale Anerkennung bei Individuen als Anerkannte einen solchen negativen Effekt erzielen kann. Hieraus ergeben sich die Fragen, ob soziale Anerkennung in Prozessen von Identitätsentwicklung jeweils mit sozialer Herrschaft einhergeht und wie dieser Typus von sozialer Herrschaft kritisiert werden kann. Diese Fragen hat Honneth zuletzt in einem persönlichen Gespräch mit Allen und Cooke (als zwei Teilnehmerinnen der Debatte gegen Honneth) beantwortet. An dieser Stelle vertritt er mit beiden Gesprächsteilnehmerinnen die Auffassung, dass die Operation der Einschränkung von Identitätsmöglichkeiten an sich keine Operation darstellt, welche, wie sonst in der Debatte gegen seine kritische Gesellschaftstheorie behauptet wird, auf soziale Herrschaft zurückführt. Diese Auffassung beruht auf der Idee, wonach soziale Anerkennung sich in jenem praktischen Kontext nur unter der Bedingung als herrschaftsstiftend erweist, dass sie immanente Prinzipien verletzt, die substanziell kritische Maßstäbe definieren.
Mein Beitrag zu dieser Debatte gegen Honneth besteht auf der einen Seite in der Erklärung, dass sowohl jene Auffassung als auch jene Idee argumentativ mangelhaft sind, und auf der anderen Seite in der Ausführung des Vorhabens, diesen argumentativen Mangel selbst zu beheben. Gegen jene Auffassung behaupte ich, dass die drei Autoren in ihrem Gespräch nicht erläutern, inwiefern soziale Anerkennung nicht herrschend wirkt, wenn sie die Identitätsmöglichkeiten von Individuen als Anerkannte einschränkt, denn mit dieser Einschränkung wird vielmehr faktisch über diese Individuen geherrscht – die Debatte gegen Honneth, so zur Unterstützung dieser Ansicht, baut hauptsächlich auf ebendiesem Faktum auf. Gegen jene Idee habe ich fünf problematische Fragen gestellt und beantwortet, die Bezug eigentlich nicht allein auf diese Idee selbst, sondern überdies auf weitere, naheliegende Ideen nehmen, welche die drei Autoren angesprochen haben.
Content: Introduction: Do the Arts Really Matter? Aesthetic Cognition and Human Development The Significance of Arts in Everyday Life: Evidence from Case StudiesArts and Quality of Experience: A Systematic Analysis The Conditions of Optimal Experience The Representation of Experience in Personality Consequences for Teaching the Arts
On the classical understanding, an agent is fully excused for an action if and only if performing this action was a case of faultless wrongdoing. A major motivation for this view is the apparent existence of paradigmatic types of excusing considerations, affecting fault but not wrongness. I show that three such considerations, ignorance, duress and compulsion, can be shown to have direct bearing on the permissibility of actions. The appeal to distinctly identifiable excusing considerations thus does not stand up to closer scrutiny, undermining the classical view and giving us reason to seek alternative ways of drawing the justification/excuse distinction.
Besonderung und Immanenz
(2017)
Zentrales Anliegen dieser Arbeit ist ein historisch-systematisches Verständnis der Philosophischen Anthropologie Helmuth Plessners im Zusammenhang mit zentralen theoretischen Entwicklungen der klassischen deutschen Philosophie. Im philosophischen Problemrahmen von Besonderung und Immanenz werden verschiedene historische Modelle untersucht. Die Arbeit geht von der Philosophie Immanuel Kants und Georg Friedrich Wilhelm Hegels aus und konzentriert sich auf das für die klassisch-deutsche Philosophie und ihre Überwindung der traditionellen Metaphysik entscheidende Methodenprinzip der Grenzbestimmung. Die Untersuchung beginnt im Kapitel Ausgangspunkt mit Kants Definition der Grenzbestimmung in der Kritik der reinen Vernunft als transzendental-philosophische Grundoperation und damit mit den Begriffen Grenze, Schranke und Zweckmäßigkeit. Anschließend wird Hegels grundlegende Antwort auf Kants Problem in der Dialektik der Grenze untersucht: In der Wissenschaft der Logik, der Logik des Seins, entwickelt Hegel ein erweitertes Konzept von Besonderung gegen Kant. Im Kern kritisiert Hegel Kants Begriff der Grenze im Sinne einer abstrakten Schranke, die einem begrifflich entwickelten Ansatz der Grenze als Funktionsbestimmung und damit der sich aus der Methode der Dialektik ergebenden Anforderung transzendentaler Individuation widerspricht. Die systematische zentrale Bedeutung der Dialektik der Grenze wird in der Begriffslogik im Abschnitt Teleologie weiter untersucht, da Grenze hier besonders mit dem Problem der Immanenz bzw. Vermittlung verknüpft ist. Im Gegensatz zu Kant entwickelt Hegel die Idee der Vermittlung begrifflich über den Begriff der Zweckmäßigkeit, beantwortet sie aber in der Wissenschaft der Logik innerhalb eines geschlossenen Modells. An diese Ergebnisse anschließend wird die Transformation des philosophischen Problemrahmens von Besonderung und Immanenz in der von Plessner im frühen 20. Jahrhundert gegründeten Philosophischen Anthropologie untersucht. Plessner greift in seinem Hauptwerk Die Stufen des Organischen und der Mensch auf diesen Rahmen quasi-transzendental zu und begründet eine moderne Natur- und Kulturphilosophie in einer performativ-philosophischen Wendung neu. Auf diese Weise kann Plessner Hegels geschlossenes philosophisches Modell von Besonderung und Immanenz aufbrechen und einen nicht-dualistischen dritten Weg moderner Philosophie jenseits von Neukantianismus und Existenzialismus vorzeichnen.
Im Aufsatz wird die These erörtert, dass Bildung auch im Zeitalter wissenschaftlich-technischer Revolutionen zuvörderst "Befähigung zur Freiheit" ist. Ausgehend von Kant und Hegel, Marx, Liebknecht, Gramsci und Duncker wird das "Prinzip Freiheit" zerfällt in das "Prinzip des Selbst", das "Prinzip der Kompetenz", das "Prinzip der Antizipation" und das "Prinzip der Partizipation", deren Synthese wiederum in das "Prinzip der Humanität" mündet. Der philosophische Ansatz verweist auf eine Reformbedürftigkeit sozialistischer Bildung unter den Bedingungen des wissenschaftlich-technischen Fortschritts.
Die Analyse vergleicht Installationen von Bruce Nauman und Olafur Eliasson ausgehend von der Fragestellung, wie sich die künstlerischen Performativitätsstrategien der 1960er/70er Jahren und die der zeitgenössischen Kunst in ihren Wirkungen und Effekten unterscheiden lassen. Dabei werden die Positionen der beiden Künstler als paradigmatisch für eine Ästhetik des Performativen angesehen. Neben dem Vergleich der Künstler steht die theoretische Auseinandersetzung mit der Diskursfigur der Performativität sowie deren methodischen Anwendbarkeit in der Kunstwissenschaft im Vordergrund. Während sich Installationen der 1960er/70er Jahre besonders durch die psycho-physische Einwirkung auf die Sinneswahrnehmung des Betrachters auszeichnen und durchaus Schockeffekte beim Betrachter hervorrufen, befasst sich die zeitgenössische Kunstpraxis vornehmlich mit visuellen und poetischen Effekten, die eine kontemplative Rezeptionshaltung des Betrachters einfordern. Bruce Nauman war es ein Anliegen, den tradierten Status des Kunstwerks als ein zu Betrachtendes, das sich durch Begriffe wie Form, Ursprung und Originalität fassen ließ, in Frage zu stellen und stattdessen eine reale leibliche Erfahrung für den Betrachter nachvollziehbar werden zu lassen. Künstlern wie Olafur Eliasson geht es in den künstlerischen Produktionen vor allem um die Wahrnehmung der Wahrnehmung sowie der Erzeugung von Präsenzeffekten. Mit dem Aufkommen solcher Verfahren wurde deutlich, dass performative Installationen nach anderen Beschreibungsformen verlangten und, dass diese durch eine Ästhetik des Performativen gefasst werden können. Wie genau vollzieht sich der Wandel von den performativen Strategien der 1960er/70er Jahre zu denen der zeitgenössischen Installationskünstlern? Verläuft dieser vom Schock zur Poesie?
On the basis of many years of personal experience the paper describes Buddhist meditation (Zazen, Vipassanā) as a mystical practice. After a short discussion of the role of some central concepts (longing, suffering, and love) in Buddhism, William James’ concept of religious experience is used to explain the goal of meditators as the achievement of a special kind of an experience of this kind. Systematically, its main point is to explain the difference between (on the one hand) a craving for pleasant ‘mental events’ in the sense of short-term moods, and (on the other) the long-term project of achieving a deep change in one’s attitude to life as a whole, a change that allows the acceptance of suffering and death. The last part argues that there is no reason to call the discussed practice irrational in a negative sense. Changes of attitude of the discussed kind cannot be brought about by argument alone. Therefore, a considered use of age-old practices like meditation should be seen as an addition, not as an undermining of reason.
On the basis of many years of personal experience the paper describes Buddhist meditation (Zazen, Vipassanā) as a mystical practice. After a short discussion of the role of some central concepts (longing, suffering, and love) in Buddhism, William James’ concept of religious experience is used to explain the goal of meditators as the achievement of a special kind of an experience of this kind. Systematically, its main point is to explain the difference between (on the one hand) a craving for pleasant ‘mental events’ in the sense of short-term moods, and (on the other) the long-term project of achieving a deep change in one’s attitude to life as a whole, a change that allows the acceptance of suffering and death. The last part argues that there is no reason to call the discussed practice irrational in a negative sense. Changes of attitude of the discussed kind cannot be brought about by argument alone. Therefore, a considered use of age-old practices like meditation should be seen as an addition, not as an undermining of reason.
According to Plessner, both adaptation and selection can be conceived not just as requested by the environment but also as actively proceeding from the organism. In this respect, Plessner finds in Uexküll’s new biology a powerful counterweight to the constraints of Darwinism. However, despite all the points in common in their respective understanding of the problem, Plessner reproaches to Uexküll to have entirely missed the intermediate layer of the lived body [Leib] between the organism and its environment. Unlike Uexküll, concerning the more developed animals, Plessner took up elements of animal psychology from Wolfgang Köhler and Frederik Jacobus Johannes Buytendijk. Finally, Plessner finds insufficiencies also in Uexküll’s distinction between the notion of world and the notion of environment, which would lead to the parallel positing of different environments. In reaction to Uexküll’s leveling of all environments, Plessner drafted a philosophical-anthropological spectrum between the intelligent way of living observed in the great apes, whose intelligence had been demonstrated, and the co-wordly life of the symbolic mind as seen in the personal sphere of human life.
Communicative Reason Juergen Habermas, interviewed by Christoph Demmerling and Hans-Peter Krueger
(2016)
Jurgen Habermas explicates the concept of communicative reason. He explains the key assumptions of the philosophy of language and social theory associated with this concept. Also discussed is the category of life-world and the role of the body-mind difference for the consciousness of exclusivity in our access to subjective experience. as well as the role of emotions and perceptions in the context of a theory of communicative action. The question of the redemption of the various validity claims as they are associated with the performance of speech acts is related to processes of social learning and to the role of negative experiences. Finally the interview deals with the relationship between religion and reason and the importance of religion in modern, post-secular societies. Questions about the philosophical culture of our present times are discussed at the end of the conversation.
Scholars have long recognised the importance of contexts of reception in shaping the integration of immigrants and refugees in a host society. Studies of refugees, in particular, have examined groups where the different dimensions of reception (government, labour market, and ethnic community) have been largely positive. How important is this merging of positive contexts across dimensions of reception? We address this through a comparative study of Vietnamese refugees to West Germany beginning in 1979 and contract workers to East Germany beginning in 1980. These two migration streams converged when Germany reunified in 1990. Drawing on mixed qualitative methods, this paper offers a strategic case for understanding factors that shape the resettlement experiences of Vietnamese refugees and immigrants in Germany. By comparing two migration streams from the same country of origin, but with different backgrounds and contexts of reception, we suggest that ethnic networks may, in time, offset the disadvantages of a negative government reception.
Scholars have long recognised the importance of contexts of reception in shaping the integration of immigrants and refugees in a host society. Studies of refugees, in particular, have examined groups where the different dimensions of reception (government, labour market, and ethnic community) have been largely positive. How important is this merging of positive contexts across dimensions of reception? We address this through a comparative study of Vietnamese refugees to West Germany beginning in 1979 and contract workers to East Germany beginning in 1980. These two migration streams converged when Germany reunified in 1990. Drawing on mixed qualitative methods, this paper offers a strategic case for understanding factors that shape the resettlement experiences of Vietnamese refugees and immigrants in Germany. By comparing two migration streams from the same country of origin, but with different backgrounds and contexts of reception, we suggest that ethnic networks may, in time, offset the disadvantages of a negative government reception.
Critical Anthropology? To the Relationship between Philosophical Anthropology and Critical Theory
(2016)
This article compares Max Horkheimer’s and Theodor W. Adorno’s foundation of the Frankfurt Critical Theory with Helmuth Plessner’s foundation of Philosophical Anthropology. While Horkheimer’s and Plessner’s paradigms are mutually incompatible, Adorno’s „negative dialectics“ and Plessner’s „negative anthropology“ (G. Gamm) can be seen as complementing one another. Jürgen Habermas at one point sketched a complementary relationship between his own publicly communicative theory of modern society and Plessner’s philosophy of nature and human expressivity, and though he then came to doubt this, he later reaffirmed it. Faced with the „life power“ in „high capitalism“ (Plessner), the ambitions for a public democracy in a pluralistic society have to be broadened from an argumentative focus (Habermas) to include the human condition and the expressive modes of our experience as essentially embodied persons. The article discusses some possible aspects of this complementarity under the title of a „critical anthropology“ (H. Schnädelbach).
critique of neuroscience
(2016)
Bennett and Hacker criticize a number of neuroscientists and philosophers for attributing capacities which belong to the human being as a whole, like perceiving or deciding, to a “part” of the human being, viz. the brain. They call this type of mistake the “mereological fallacy”. Interestingly, the authors say that these capacities cannot be ascribed to the mind either. They reject not only materialistic monism but also Cartesian dualism, arguing that many predicates describing human life do not refer to physical or mental properties, nor to the sum of such properties. I agree with this important principle and with the critique of the mereological fallacy which it underpins, but I have two objections to the authors’ view. Firstly, I think that the brain is not literally a part of the human being, as suggested. Secondly, Bennett and Hacker do not offer an account of body and mind which explains in a systematic way how the domain of phenomena which transcends the mental and the physical relates to the mental and the physical. I first argue that Helmuth Plessner’s philosophical anthropology provides the kind of account we need. Then, drawing on Plessner, I present an alternative view of the mereological relationships between brain and human being. My criticism does not undercut Bennett and Hacker’s diagnosis of the mereological fallacy but rather gives it a more solid philosophical–anthropological foundation.
Die vorliegende Arbeit vertritt die These, dass Hegels Wissenschaft der Logik mit einer Konzeption von Absolutheit Ernst zu machen versucht, nach der es kein Außerhalb des Absoluten geben kann. Dies macht sich bereits im Anfang der Logik bemerkbar: Wenn es nichts außerhalb des Absoluten geben kann, dann darf auch der Anfang nicht außerhalb des Absoluten sein. Folglich kann der Anfang nur mit dem Absoluten gemacht werden. Das Setzen des Anfangs als absolut ist aber gleichzeitig ein Testen des Anfangs auf seine Absolutheit. Diese Prüfung kann der Anfang nicht bestehen. Denn es liegt im Wesen eines Anfangs, nur Anfang und nicht das Ganze und somit nicht das Absolute zu sein. Der Anfang ist am weitesten davon entfernt, das Ganze zu sein, und muss folglich als das Nicht-Absoluteste innerhalb der Logik betrachtet werden. Also ist er beides: Er ist ein Anfang mit dem Absoluten und er ist ein Anfang mit dem Nicht-Absolutesten. Die Logik widerspricht sich bereits in ihrem Anfang. Von diesem Widerspruch muss sie sich befreien. Diese Befreiung treibt den Gang vom Anfang fort. Dies erzeugt den Fortgang der Logik. Die anfängliche Bestimmung hebt sich auf und geht in ihre Folgebestimmung über. Die Folgebestimmung wird ihrerseits absolut gesetzt, kann dieser Setzung aber ebenfalls nicht gerecht werden und hebt sich in ihre Folgebestimmung auf. Eine jede Bestimmung, die auf den Anfang folgt, durchläuft diese Bewegung des Absolutsetzens, Daran-Scheiterns und Sich-Aufhebens, bis – ganz am Ende der Logik – ebendiese Bewegung als dasjenige erkannt wird, was allein vermögend ist, dem Anspruch auf Absolutheit zu genügen. Denn wenn eine jede Bestimmung dieser Bewegung unterworfen ist, dann gibt es kein Außerhalb zu dieser Bewegung. Und also muss sie das gesuchte Absolute sein.
Auf ihrem Weg hin zur wahren Bedeutung des Absoluten kehrt die Logik immer wieder in die Bestimmung ihres Anfangs zurück, um Voraussetzungen einzuholen, die in Zusammenhang mit ihrem Anfang gemacht werden mussten. Für das Einholen dieser Voraussetzungen werden folgende Textstellen von Interesse sein: der Übergang in die Wesenslogik, der Übergang in die Begriffslogik und das Schlusskapitel. Denn auch zuallerletzt, in ihrem Ende kehrt die Logik in ihren Anfang zurück. Entsprechend kann mit Hegel gesagt werden: Das Erste ist auch das Letzte und das Letzte ist auch das Erste.
In der Philosophie des 20. Jahrhunderts wird deutlich, dass es in Frankreich und in Deutschland voneinander abweichende Sichtweisen auf die Frage gibt, ob der Mensch eine "Sonderstellung" in der Dynamik des biologischen und geschichtlichen Lebens genießt. Während sich in Deutschland die Tradition eines anthropologischen Denkens neu formiert, ist in Frankreich eine scharfe Skepsis gegenüber dem Erbe des Humanismus charakteristisch. Die Beiträge dieses zweisprachigen Buches untersuchen diese deutsch-französische Konstellation von Fragen und Autoren, und aktualisieren die Reflexion auf die (Grenzen der) Singularität des Menschen.
Die Naturphilosophie und die Politische Philosophie werden gemeinhin als Disziplinen aufgefasst, die grundlegend verschiedene Problembereiche zum Gegenstand haben. Die Aporien zu überwinden, welche daraus resultieren, ist die Pointe von Plessners Philosophischer Anthropologie.
In dieser Studie wird gezeigt, wie Plessner in der Aneignung elementarer Topoi der klassischen Ontologie eine strukturell neuartige "Ontologie des Organischen" entwickelt. Dieser von Plessner beiläufig verwendete Ausdruck wird in dieser Studie systematisch entwickelt. Was dabei elaboriert wird, ist eine komplexe naturphilosophische "Ontologie des Ausgleichs". In dieser Ontologie des Ausgleichs werden elementare naturphilosophische Ausgleichsleistungen expliziert, die als solche einen Doppelsinn haben: was auf der organismischen Ebene strukturell als Ausgleich des organischen Körpers mit sich selbst und der Umwelt expliziert wird, nimmt im menschlichen Bereich die Gestalt einer Ontologie der Personen an, wo die strukturell identische Ausgleichsleistung als das Spiel der Personalisierung zu vollziehen ist.
Plessners Ansatz wird hier als ein auf diese Fragen neuartig antwortender, gleichberechtigt als ontologischer und sozialphilosophischer Ansatz expliziert.
Dass das Wohlergehen künftig lebender Individuen moralische Berücksichtigung verdient, ist unbestritten. Sowohl im Rahmen des öffentlichen Diskurses als auch in der akademischen Umwelt- oder Zukunftsethik wird diese Ansicht vertreten.Durch das Problem der Nicht-Identität wird sie jedoch auf empfindliche Weise in Frage gestellt: Wie kann eine Handlung wie die Verschwendung begrenzt verfügbarer Ressourcen falsch sein, wenn die faktisch davon betroffenen künftig lebenden Individuen nur durch sie in die Existenz gelangen konnten? Gilt dann nicht, dass diese Handlung für niemanden schlecht ist und keine Schädigung darstellt? Dieses Buch verfolgt das Ziel zu verdeutlichen, wie das moralische Unrecht, das künftig lebende Individuen durch Handlungen gegenwärtig lebender Akteur:innen erfahren – trotz des Faktums der Nicht-Identität – mithilfe eines nicht-personenbezogenen Prinzips identifiziert und das Problem der Nicht-Identität somit gelöst werden kann.
Meiner nichtreduktionistischen Lesart Gadamers, derzufolge eine wechselseitige konstitutive Relation zwischen „Sprache“ und „Erfahrung“ besteht, ist es gestattet, den Vorwurf, die Sprachphilosophie Gadamers führe in den Relativismus, den man häufig gegenüber sprachphilosophischen Positionen erhebt, abzuweisen. Manchen Denkern zufolge haben die Philosophen der Postmoderne, zu denen auch Gadamer gezählt wurde, eine einfache Umkehrung der beiden Pole des modernen Verhältnisses „Sprache“ – „Erfahrung“ vollzogen: Während die Sprache in der Moderne in ihrer Bedingtheit zur Erfahrung und als bloßes Ausdrucksmittel verstanden wurde, wurde dieses Verhältnis in der neueren Philosophie nur umgekehrt, insofern die Philosophie in der Sprache das Fundament für die Erfahrung sehe, wonach die Erfahrung als ein Ausdruck der Sprache erscheine. Die vorliegende Arbeit setzt sich mit diesem Relativismusvorwurf auseinander und beabsichtigt, eine wechselseitige Abhängigkeit zwischen Sprache und Erfahrung ausgehend von Hans-Georg Gadamers Werk zu entwickeln. Um das zu erreichen, wurden zunächst eine doppelte negative-positive Erfahrungsstruktur und dann einige phänomenologische und transzendentale Merkmale der Erfahrung auf dem historischen Hintergrund für Gadamers Erfahrungsbegriff herausgearbeitet. Somit machte sich die konstitutive Sprachlichkeit der Erfahrung erkennbar. In einer Auseinandersetzung mit dem Sprachbegriff auf der anderen Seite wurde sein dialogischer und welterschließender Charakter veranschaulicht, so dass auch seine Angewiesenheit auf die Welterfahrung offenkundig wurde.
Wird Metaphysik realistisch verstanden, so ist sie mit dem Anspruch verbunden, in objektiver Weise von der grundlegenden Beschaffenheit und Ordnung der Welt (oder Realität, Wirklichkeit etc.) zu handeln. Damit beansprucht sie die Möglichkeit von Objektivität, d. h. die Möglichkeit der Repräsentation der grundlegenden Beschaffenheit und Ordnung einer Welt, die von uns und unserer Repräsentation verschieden ist.
Realistisch verstandene Metaphysik verfährt dogmatisch, wenn sie ihre eigene Möglichkeit einfach voraussetzt. Eine dogmatische Metaphysik ist unkritisch, weil sie ohne eine Untersuchung der Frage betrieben wird, wie eine objektive und adäquate Repräsentation der grundlegenden Beschaffenheit und Ordnung der Welt überhaupt möglich ist. Im Unterschied dazu nennen wir eine realistische Metaphysik in einem vorläufigen Sinne kritisch, sofern sie ihren Ausgang von einer Untersuchung dieser Möglichkeit nimmt und erst auf der Grundlage positiver Ergebnisse dieser Untersuchung einen – vor diesem Hintergrund nunmehr gerechtfertigten – Objektivitätsanspruch erhebt.
Der geistig-kulturelle Umgang mit der Covid-19-Pandemie und ihrer Wirtschaftskrise als Testfall
(2021)
Why has the global West (North America, Europe) handled the covid-19 pandemic and the corresponding economic crisis so much worse than the global East (East Asia)? The crises demonstrate the degree to which the West is shaped by its forms of competition and the East by its forms of cooperation. In the West, we have become habitualised to American neoliberalism over the last two generations. In the East, varieties of neo-Confucianism and neo-Buddhism have been transformed into national cultures. The way humans understand their position in the world intellectually and react to crises according to corresponding habit makes an effective difference. The present comparison between global East and West makes use of Hannah Arendt's conception of politics and the shared world as well as of Helmuth Plessner's conception of mediated immediacy in forms of modern biopower. The pandemic is a catalyst within the decline of the West and the rise of the East.
Der junge Habermas
(2016)
Roman Yos' Untersuchung über die Ursprünge eines der einflussreichsten Werke der jüngeren Geistesgeschichte zeigt auf originelle Weise, wie Jürgen Habermas seine bereits in jungen Jahren ausgeprägten philosophisch-politischen Denkmotive allmählich in die Bahnen eines tragfähigen Systems überführte. Diese Entwicklung lässt sich als ein Lernprozess begreifen, in dessen Verlauf konträre intellektuelle Einflüsse aufeinandertrafen und der aufwändigen Vermittlung bedurften. Yos rekonstruiert die spannungsreiche Entstehung von Habermas‘ Denken aus dem Zusammenhang frühester Schriften und gibt zugleich einen Einblick in deren zeit- und ideengeschichtliche Hintergründe.
Der Klimawandel
(2016)
Was ist Gerechtigkeit? Wie könnten gerechte Regelungen aussehen für die Katastrophen und Leiden, die der Klimawandel auslöst bzw. auslösen wird? Diese sind häufig ungerecht, weil sie oft deutlich stärker diejenigen treffen, die am wenigsten zur Klimaveränderung beigetragen haben.
Doch was genau verstehen wir unter dem Schlagwort: ‚Klimawandel‘? Und kann dieser wirklich den Menschen direkt treffen? Ein kurzer naturwissenschaftlicher Abriss klärt hier die wichtigsten Fragen.
Da es sich hierbei um eine philosophische Arbeit handelt, muss zunächst geklärt werden, ob der Mensch überhaupt die Ursache von so etwas sein kann wie z.B. der Klimaerwärmung. Robert Spaemanns These dazu ist, dass der Mensch durch seinen freien Willen mit seinen Einzelhandlungen das Weltgeschehen verändern kann. Hans Jonas fügt dem hinzu, dass wir durch diese Fähigkeit, verantwortlich sind für die gewollten und ungewollten Folgen unserer Handlungen.
Damit wäre aus naturwissenschaftlicher Sicht (1. Teil der Arbeit) und aus philosophischer Sicht (Anfang 2. Teil) geklärt, dass der Mensch mit größter Wahrscheinlichkeit die Ursache des Klimawandels ist und diese Verursachung moralische Konsequenzen für ihn hat.
Ein philosophischer Gerechtigkeitsbegriff wird aus der Kantischen Rechts- und Moralphilosophie entwickelt, weil diese die einzige ist, die dem Menschen überhaupt ein Recht auf Rechte zusprechen kann. Diese entspringt der transzendentalen Freiheitsfähigkeit des Menschen, weshalb jedem das Recht auf Rechte absolut und immer zukommt. Gleichzeitig mündet Kants Philosophie wiederum in dem Freiheitsgedanken, indem Gerechtigkeit nur existiert, wenn alle Menschen gleichermaßen frei sein können.
Was heißt das konkret? Wie könnte Gerechtigkeit in der Realität wirklich umgesetzt werden? Die Realisierung schlägt zwei Grundrichtungen ein. John Rawls und Stefan Gosepath beschäftigen sich u.a. eingehend mit der prozeduralen Gerechtigkeit, was bedeutet, dass gerechte Verfahren gefunden werden, die das gesellschaftliche Zusammenleben regeln. Das leitende Prinzip hierfür ist vor allem: ein Mitbestimmungsrecht aller, so dass sich im Prinzip alle Bürger ihre Gesetze selbst geben und damit frei handeln.
In Bezug auf den Klimawandel steht die zweite Ausrichtung im Vordergrund – die distributive oder auch Verteilungs-Gerechtigkeit. Materielle Güter müssen so aufgeteilt werden, dass auch trotz empirischer Unterschiede alle Menschen als moralische Subjekte anerkannt werden und frei sein können.
Doch sind diese philosophischen Schlussfolgerungen nicht viel zu abstrakt, um auf ein ebenso schwer fassbares und globales Problem wie den Klimawandel angewendet zu werden? Was könnte daher eine Klimagerechtigkeit sein?
Es gibt viele Gerechtigkeitsprinzipien, die vorgeben, eine gerechte Grundlage für die Klimaprobleme zu bieten wie z.B. das Verursacherprinzip, das Fähigkeitsprinzip oder das Grandfathering-Prinzip, bei dem die Hauptverursacher nach wie vor am meisten emittieren dürfen (dieses Prinzip leitete die bisherigen internationalen Verhandlungen).
Das Ziel dieser Arbeit ist, herauszufinden, wie die Klimaprobleme gelöst werden können, so dass für alle Menschen unter allen Umständen die universellen Menschenrechte her- und sichergestellt werden und diese frei und moralisch handeln können.
Die Schlussfolgerung dieser Arbeit ist, dass Kants Gerechtigkeitsbegriff durch eine Kombination des Subsistenzemissions-Rechts, des Greenhouse-Development-Rights-Principles (GDR-Prinzip) und einer internationalen Staatlichkeit durchgesetzt werden könnte.
Durch das Subsistenzemissions-Recht hat jeder Mensch das Recht, so viel Energie zu verbrauchen und damit zusammenhängende Emissionen zu produzieren, dass er ein menschenwürdiges Leben führen kann. Das GDR-Prinzip errechnet den Anteil an der weltweiten Gesamtverantwortung zum Klimaschutz eines jeden Landes oder sogar eines jeden Weltbürgers, indem es die historischen Emissionen (Klimaschuld) zu der jetzigen finanziellen Kapazität des Landes/ des Individuums (Verantwortungsfähigkeit) hinzuaddiert. Die Implementierung von internationalen Gremien wird verteidigt, weil es ein globales, grenzüberschreitendes Problem ist, dessen Effekte und dessen Verantwortung globale Ausmaße haben.
Ein schlagendes Argument für fast alle Klimaschutzmaßnahmen ist, dass sie Synergien aufweisen zu anderen gesellschaftlichen Bereichen aufweisen wie z.B. Gesundheit und Armutsbekämpfung, in denen auch noch um die Durchsetzung unserer Menschenrechte gerungen wird.
Ist dieser Lösungsansatz nicht völlig utopisch?
Dieser Vorschlag stellt für die internationale Gemeinschaft eine große Herausforderung dar, wäre jedoch die einzig gerechte Lösung unserer Klimaprobleme. Des Weiteren wird an dem Kantischen Handlungsgrundsatz festgehalten, dass das ewige Streben auf ideale Ziele hin, die beste Verwirklichung dieser durch menschliche, fehlbare Wesen ist.
August Boeckh (1785–1867) verfügte über eine umfangreiche private Büchersammlung mit einem beeindruckenden Facettenreichtum. Diese spiegelt Boeckhs Philologiebegriff wider, der sämtliche Lebensbereiche umfasste, und ermöglicht durch die in seinen Büchern hinterlassenen Marginalien einen gut nachvollziehbaren Einblick in den wissenschaftlichen Arbeitsprozess des Philologen.
Aufbauend auf der rekonstruierten Boeckhschen Bibliothek blickt Julia Doborosky auf die Auseinandersetzung zwischen Boeckh und seinem Kritiker Gottfried Hermann um die Ausgestaltung der philologischen Disziplin, das wissenschaftliche Werk Boeckhs selbst und auf seine Interaktion innerhalb eines wissenschaftlich-institutionellen Netzwerks. Anhand dieser drei Säulen zeigt sie die unterschiedlichen Modalitäten auf, in denen Boeckh seinen Philologiebegriff entwickelte, darlegte und zur Anwendung brachte – und wie hierbei seine Büchersammlung als greifbares Zeugnis einer geisteswissenschaftlichen Ideen- und Disziplingeschichte stets präsent ist.
Die "europäischen Wilden"
(2023)
Any conception in linguistics and linguistic philosophy that prioritizes the world-disclosing function over the world-representing function of language can be regarded as a kind of linguistic hermeneutics. The paper tries to specify this general thesis by picking up and analysing historical trends in the philosophy of language. It spells out the relationship between the situatedness of locutors in the medium of linguistic practices and the way in which they (through their speech acts) articulate this medium by actualizing possibilities for personal expressivity and interpersonal communication. It is argued that the starting point from the medium that always already transcends the particular speech acts offers an alternative to inferential semantics. From the perspective of linguistic hermeneutics, the world is disclosed and exposed to ongoing articulation in characteristic hermeneutic situations of language use. The concepts of linguistic medium and discursive articulation of the world are treated in terms of hermeneutic trans- subjectivity as enabling all forms of communicative intersubjectivity. If one ignores the fore-structuring role of the former, one would hypostatise the latter. With regard to this claim, the theory of formal pragmatics is critically discussed.
Hat für Personen eine ethische Auseinandersetzung mit ihrem Leiden an Problemen und Konflikten gegenüber strategischen und technischen Lösungen eine Bedeutung? Diese Abhandlung zeigt, dass Ansätze philosophischer Ethik, die von formalen Prinzipien, menschlichen Lebensformen oder sozialen Praktiken ausgehen, diese Frage unzureichend beantworten. Zu deren Beantwortung werden stattdessen ethische Subjektivität in der Klage über Leid, ethische Überlegungen als Negation von Leid und ethischer Dialog als Überwindung von Leid erörtert.
Um die gegenwärtige Transformation der Öffentlichkeit im digitalen Zeitalter erfassen zu können, ist in der Öffentlichkeitstheorie eine erweiterte Perspektive notwendig, die nicht nur den massenmedialen Diskurs, sondern auch die Veränderung sozialer Praktiken und institutioneller Strukturen in den Blick nimmt. Das Ziel dieses Buches besteht darin, die Grundlagen einer solchen Perspektive auf die Theorie digitaler Öffentlichkeiten zu entwickeln. Im vorgeschlagenen Ansatz wird Öffentlichkeit im Anschluss an John Dewey als Prozess verstanden. In seiner prozessualen und funktionalen Bestimmung von Öffentlichkeit liegt eine besondere Originalität, die seinen Ansatz von anderen Öffentlichkeitskonzeptionen unterscheidet. Das Buch liefert sowohl eine systematische Rekonstruktion und Interpretation der Philosophie John Deweys als auch einen Vorschlag zur gesellschaftstheoretischen Deutung des digitalen Wandels.
Dispersing the fog
(2020)
Countries in the Middle East generally fare poorly in Transparency International’s Corruption Perceptions Index. One of the biggest challenges for the anti-corruption-regime in the Middle East are the many forms of corruption that are not being recognised as such on the local level, if assessed against a culturally relativistic benchmark. Our paper seeks to establish a unifying ground by providing a functional analysis of corruption which is both, normatively guiding and culturally sensitive. We demarcate our work as follows: (1) our reference point will be the phenomenon of institutional corruption, whereas (2) our working definition of corruption will conceive of corruption as a violation of role-specific norms that is motivated by the role-occupier’s private motives. In an attempt to offer a comprehensive approach, corruption will be viewed on two differing levels. On the external level, we will begin with an investigation of features within a norm-order that typically instantiate corruption. We will argue that corruption is externally conditioned by an authority’s inability to enforce and (re)establish the norms of conduct that ought to be action-guiding in office. This changes the expectation-structure within a norm-order and erodes public trust in the authorities, giving rise to willing perpetrators. Complementing this, the internal level of our framework will emphasize the motivational deficits of corrupt acts. It will be argued that this deficit can typically be found in societies that lack civic virtues. This, we suspect, is the functional reason why corrupt societies have such a hard time to overcome the problem: they lack both features and are, as a consequence, caught in a vicious circle as they struggle to strengthen civil society and consolidate institutional structures – whereas corruption increasingly disappears from the radar as it becomes accepted reality.
Dotting the “I think”
(2023)
This chapter discusses a central problem in Sebastian Rödl’s Self-Consciousness and Objectivity and in Wittgenstein’s Tractatus. In a statement of the form “I think p”, the words “I think” do not contribute to the content, and yet they are not redundant. In other words, a thinking subject is not something and yet not nothing. But then in what sense is a thinking subject a part of the world? The problem is intractable on a merely negative understanding of “I think”, like Anscombe’s merely negative thesis, endorsed by Rödl, that “I” is not a referring expression. In search of a positive understanding, this chapter proposes to understand “I think” by comparison to “hello”. A speaking subject is the expression of mutual presence in conversation – in that sense a limit of the world. Such expression may be compared to facial expression, with the crucial difference that a verbal expression can be taken up – i.e., repeated – in the third person. A speaking subject, then, is potentially absent from conversation, and in that sense a part of the world.
Ein Leben als Artikulation : die anthropologische Ikonographie der Schriften von Imre Kertész
(2010)
Imre Kertész ist 1929 in Budapest geboren und dort aufgewachsen. 1944 wurde er im Rahmen einer Judendeportation verhaftet und über Auschwitz in das KZ Buchenwald verbracht. Nach der Befreiung des Lagers 1945 kehrte er in seine Heimatstadt zurück, wo er seit 1953 als Schriftsteller und Übersetzer tätig war. 2001 verlegte er seinen Lebensmittelpunkt nach Berlin. 2002 erhielt er den Nobelpreis für Literatur. Ziel der Untersuchung ist die Rekonstruktion einer in Kertész’ Werk allegorisch codierten Anthropologie und einer damit implizierten Ästhetik. Die Basis der fraglichen Anthropologie ist der Begriff des Lebens. Das spezifisch menschliche Leben zeichnet sich durch den Prozess der kulturellen Evolution aus, welcher durch verständigungsorientierte Mittel rational zu steuern ist. Die hieraus resultierende Dialektik wird von autonomen Personen konstituiert. Dabei erscheint die generationenübergreifende Reproduktion der Personenrolle und des damit einhergehenden menschlichen Bewusstseins als unbedingte Pflicht im Sinne Kants. Letzterer Vorgang kann als ästhetische Erfahrung beschrieben werden, bei der die menschliche Ontogenese jeweils in Orientierung an paradigmatischen Darstellungen der Personalität respektive der Personalisierung erfolgt.
Ein Recht gegen das Recht
(2022)
Ein Recht gegen das Recht
(2022)
Im Zentrum des vorliegenden Buches stehen 14 Briefe, die der Berliner Arzt Wilhelm Fliess (1858–1928) und der naturalistische Schriftsteller Hermann Sudermann (1857–1928) in den Jahren 1884 bis 1887 gewechselt haben. Sie geben erstmals Einblicke in Fliess’ diätetische Behandlungsmethode und beleuchten Sudermanns von körperlichen Leiden begleiteten Aufstieg zum Erfolgsautor, dessen frühe Novelle »Der Wunsch« (1886) ein klassischer Referenztext der Psychoanalyse wurde.
Nachdem die anfangs strenge Arzt-Patienten-Beziehung einer wechselseitigen Freundschaft weicht, verbringen die beiden nahezu gleichaltrigen Männer gemeinsam mehrere Wochen auf Capri. Der Briefwechsel endet in dem Augenblick, in dem Fliess – vornehmlich als der kongeniale Gesprächspartner Sigmund Freuds bekannt – in Wien den späteren Begründer der Psychoanalyse kennenlernt. Ein ausführlicher Kommentar mit vielfältigen Dokumenten und neuen Quellen erläutert, warum es zwischen Fliess und Sudermann auf dem Höhepunkt ihrer Freundschaft zu einem nachhaltigen Zerwürfnis gekommen ist.
Eine Gruppe, gar eine innerlich verbundene Gemeinschaft, können Intellektuelle im Normalfall nur bilden, soweit sie von gleichem Denken und Wollen bewegt werden […]. Wo dagegen die von den Intellektuellen vertretenen Ansichten weit divergieren, da kann es nur unter sehr kritischen Umständen geschehen, daß die verschieden gearteten (sozialen, politischen, rechtlichen, kulturellen, religiösen) Standpunkte und Anliegen – auf Zeit – sich zusammenfinden […]. Das polemische Element, das kritischen Intellektuellen ja wesensmäßig zu eigen ist, bringt am ehesten eine gemeinsame Front zwischen ihnen zustande.
In der Dissertationsarbeit mit dem Titel „Eine Hypothese über die Grundlagen von Moral und einige Implikationen“ unternimmt die Autorin den Versuch, die anthropologischen Prämissen moralischen Handelns herauszuarbeiten. Es wird eine Hypothese aufgestellt und erläutert, die behauptet, dass moralisches Handeln nur dann verständlich wird, wenn der Handelnde erstens die Fähigkeit der Phantasie aufweist, zweitens auf Erfahrungen (mittels seines Gedächtnisses) zugreifen kann und durch Konversation mit anderen Personen interagierte und interagiert, denn nur auf der Basis dieser drei Grundlagen von Moral können sich diejenigen Fähigkeiten ent¬wickeln, die als Voraussetzungen moralischen Handeln gesehen werden müssen: Selbstbewusstsein, Freiheit, die Entwicklung eines Wir-Gefühls, die Genese eines moralischen Ideals und die Fähigkeit, sich im Entscheiden und Handeln nach diesem Ideal richten zu können. Außerdem werden in dieser Dissertation einige Implikationen dieser Hypothese auf individueller und zwischenmenschlicher Ebene diskutiert.
Einführung
(2020)
Einführung
(2016)
Einführung
(2015)
Errata zu: Denken und Welt – Wege kritischer Metaphysik. dzph. Band 67, 2019, Heft 1, S. 76–97
(2019)
We begin by considering two common ways of conceiving critical metaphysics. According to the first (and polemical) conception, critical metaphysics analyzes nothing more than the form of thought and thereby misses the proper point of metaphysics, namely to investigate the form of reality. According to the second (and affirmative) conception, critical metaphysics starts from the supposed insight that the form of reality can’t be other than the form of thought and is thus not required to analyze anything but that form. We argue that the first conception is too weak while the second is too strong. Then we sketch an alternative conception of critical metaphysics, a conception we find expressed both in Kant’s B-Deduction and in the way Barry Stroud has recently investigated the possibility of metaphysics. According to such a conception, a properly critical metaphysics needs to proceed in two steps: first, it needs to analyze the most general and necessary form of any thought that is about an objective reality at all; second, it needs to investigate how that form of thought relates to the reality it purports to represent. But unlike Kant, Stroud remains sceptical regarding the possibility of a satisfying transition from thought to reality in metaphysics. We argue that this dissatisfaction can be traced back to a notion of objectivity and reality in terms of complete mind-independence. Then we sketch an alternative notion of objectivity and reality in terms of distinctness from subjects and acts of thinking, and argue that it is that notion that allows Kant, with his Transcendental Idealism, to make the transition required for any satisfying metaphysics, namely that from the form of thought to reality.
Moralische Überzeugungen hat jeder. Aber schwierig wird es, wenn die Überzeugungen vor anderen begründet und verteidigt werden sollen. Das Arbeitsbuch führt in die wichtigsten Techniken des ethischen Argumentierens ein. Dabei besteht die Besonderheit darin, dass praktische Übungen präsentiert werden, mit denen sich das ethische Argumentieren an Beispielen einüben lässt. In einem einführenden Teil werden die Grundlagen präsentiert: Es geht um das moralische Urteil und um den Unterschied zwischen deskriptiven und normativen Prämissen eines moralischen Arguments. Im ersten Hauptteil wird dann ein historischer Überblick über die wichtigsten Argumentationsweisen der Ethik gegeben: Wie würde ein Deontologe ein bestimmtes moralisches Problem im Gegensatz zu einer Utilitaristin oder einem Intuitionisten lösen? Im zweiten Hauptteil geht es um etablierte Argumentationsformen der Angewandten Ethik: Wie funktioniert ein Dammbruchargument, was ist ein Doppelwirkungsargument etc.? – In 2-farbiger Gestaltung, mit zahlreichen Übungen, Tipps und weiterführender Literatur.
Most of the longer worldly fictional Middle High German first-person narrations are allegorical. The article discusses the reasons for this interdependence between allegory and the first-person narrative form, which is observable not only in Middle High German literature, but also in texts belonging to other European vernacular literatures of the time. In my article I develop two main thesis: The first is that the use of allegoric forms marks on the one hand a highbrow literary level and serves as a stylistic ornament of texts, which tend to present themselves mainly as author-speech. This is also the reason why in these texts the ›I‹ is often not only a narrating ›I‹, but also takes over the role of an author on the narrative level of the histoire. The other reason for this interdependence is that among all kinds of narrators, only the first-person narrator is able to cross the border between the extradiegetic and the diegetic world, in which personifications like Frau Minne, Frau Triuwe, or Frau Âventiure have the knowledge about Minne, Triuwe, and Âventiure and wait for the first-person narrator to approach and to be taught. Only he can experience the encounter with the personifications and their instruction himself and only he can pass this knowledge to the recipients as an experience he made himself.
The aim of this paper is to discuss Nicolai Hartmann’s conception of personhood as developed in his philosophy of spiritual being. Many contemporary accounts of personhood are systematically focused on rational phenomena as self-consciousness or practical reasoning, which are understood as ‘conditions of personhood’. Apart from having some technical problems, those accounts limit our self-under-standing as persons on distinct rational properties and often fail to consider the sociocultural aspects of the personal situation. Nicolai Hartmann — although respecting the role of reason — understands personhood particularly as participation in a shared spiritual sphere called Objektiver Geist (objective spirit), which includes various intersubjective phenomena as languages, religion, moral, arts, and the
sciences. Being part of this sphere seems to be more fundamental than having distinct rational properties, which requests a spiritual frame to be exerted. Further it is shown that Hartmann’s ontology of person also includes a notion of being affected by the existential weight of situations and other person’s actions — an idea often maintained by phenomenological positions. By regarding rational, intersubjective and affective aspects, Hartmann’s philosophy of person succeeds in offering a broad articulation of our self-understanding and may also be seen as providing a background to understand certain phenomena that are part of the personal situation.
Seit ihrem Beginn ist die Raumfahrt Untersuchungsgegenstand verschiedenster Disziplinen. Auch die Philosophie hat seither eine kritische Perspektive auf diese Aktivität eingenommen. Und doch fehlt es bislang eines philosophisch-systematischen Zugangs, mit einem genuin ‚anthropologischen‘ Gesichtspunkt. Diese Lücke wird immer offensichtlicher, seitdem sich, nach Entdeckung der ersten Exoplaneten, neue ‚Astro-wissenschaften‘ (z.B. Astrobiologe, Astrokognition, Astrosoziologie) gebildet haben, die explizit Menschen als Raumfahrer voraussetzen bzw. menschliche Eigenschaften auf ihre ‚Ablösbarkeit‘ hin diskutieren. Mit vorliegender Masterarbeit soll der Versuch gemacht werden, die notwendigen Präsuppositionen, für das Verständnis von Menschen als ‚raumfahrende Lebewesen‘, aufzudecken, ohne naturalistische oder kulturalistische Verkürzungen zu betreiben. Zu diesem Zweck wird der systematische Rahmen von Helmuth Plessners Philosophischer Anthropologie gewählt, da dieser eine umfassende ‚spezies-neutrale‘ (d.h. es erlaubt über Menschen, Tiere und Extraterrestriker gleichermaßen nachzudenken, ohne ‚anthropozentrische‘ oder ‚speziesistische‘ Vorurteile zu machen) Untersuchung des infrage stehenden Sachverhaltes bietet. Um diesen Rahmen zu exemplifizieren, und währenddessen den philosophisch-systematischen Ansatz zur Raumfahrt zu elaborieren, der raumfahrende Extraterrestriker ohne Anthropomorphisierung konzeptualisieren, wie auch den Umgang mit Extraterrestrikern in ethischer und politischer Hinsicht berücksichtigen kann, werden die Themenkreise der Astrobiologie, Astroethik und Astropolitik in einzelnen Kapiteln besprochen. Abschließend ist, entgegen aller Erwartung, der gewählte Ansatz als ‚kritisch-posthumanistische‘ Option zu verteidigen.
Fatale Orthodoxie
(2018)
Our reply to Fabian Freyenhagen’s article “Was ist orthodoxe Kritische Theorie?” (DZPhil 65.3 [2017], 456-469) raises the question whether his proposal that Critical Theory only “be adequately and appropriately critical” without a program of justification spares the search for any general criteria. Answering negatively we conversely want to recall, particularly with regard to Horkheimers’s and Adornos’s Dialectic of Enlightment as well as Habermas‘s concept of an emancipatory interest, that such a criterion as a normative foundation of critique is crucial not only for systematical purposes, but also recognised as necessary in this respect by Adorno, who Freyenhagen wants to play off against programs of justification. Critical Theory needs to be clear in this respect. Against this background we are questioning Freyenhagen‘s recourse to an “interest in abolishing social injustice” as the “only criterion for Critical Theory.” Because Freyenhagen ignores the fact that Critical Theory has been understood by its representatives in a twofold manner – as a theoretical program of justification for one and secondly as a cultural diagnosis – his plea for an orthodox Critical Theory is endangered by decisionism.
Cette recherche a pour objet l'articulation entre les dimensions anthropologiques et sociologiques de l'anthropologie philosophique de Helmuth Plessner (1892-1985). Elles procèdent selon trois axes. Je m'efforce (1) d'offrir une synthèse de l'anthropologie philosophique plessnerienne afin (2) de reconstituer les conditions de possibilité du social au stade humain de l'organique. Le troisième axe (3) correspond, enfin, à l'analyse des limites structurelles du social à partir de ses deux dimensions constitutives : l'individuel (limites ontogénétiques, comportementales et inter-personnelles) et le collectif (limites culturelles, intra- et inter-culturelles).
In der Diskussion über Freiheit und Verantwortung vertritt die Hirnforschung die These, dass wir determiniert sind und unser Gehirn es ist, das denkt und entscheidet. Aus diesem Grunde könne uns für unsere Entscheidungen und Handlungen auch keine Verantwortung zugewiesen werden. Die Philosophie versucht in dieser Diskussion zu klären, ob wir trotz Determiniertheit für unsere Entscheidungen und Urteile verantwortlich sind oder ob Vereinbarkeit von Freiheit und Determinismus grundsätzlich nicht möglich ist. Diese Fragen stellt diese Untersuchung über Freiheit und Verantwortung nicht. In dieser Untersuchung wird ein gewisses Maß an Freiheit vorausgesetzt, weil diese Annahme der erste Schritt für unsere Freiheit ist. In dieser Arbeit geht es um die Verbindung von Freiheit und Verantwortung und was diese Verbindung in unserem Menschsein und Miteinander bedeutet. Ziel ist es, zu zeigen, dass wir uns zusätzliche Freiheit aneignen können, dass Bildung für unsere Freiheit nötig und dass Freiheit ohne Verantwortung nicht möglich ist. Die Untersuchung schließt sich Peter Bieris Thesen an, dass Aneignung von Freiheit und Bildung, die weder als Schul- noch als Ausbildung zu verstehen ist, möglich und nötig sind, um verantwortlich entscheiden und handeln zu können, lehnt jedoch Peter Bieris These ab, dass bedingte Freiheit Voraussetzung für unsere Freiheit ist. Zudem geht diese Arbeit über Peter Bieri hinaus, indem sie eine Lösungsmöglichkeit für unsere Freiheit und der damit verbundenen Verantwortlichkeit anbietet. Als Lösung wird eine Bildung vorgeschlagen, die uns die Verbundenheit mit den anderen und die Abhängigkeit von den anderen zeigt und die die Rechte und Bedürfnisse der anderen ebenso anerkennen lässt wie unsere eigenen. Es ist eine Bildung, die nicht nur Wissen, sondern auch bestimmte rationale und emotionale Kompetenzen beinhaltet. Es ist eine Bildung, die als lern- und lehrbar angesehen wird. Um diese Bildung als eine Notwendigkeit für unsere Freiheit und Verantwortlichkeit uns und den anderen gegenüber vermitteln zu können, ist es wichtig, uns in unserem Wesen verstehen. Deshalb werden in dieser Arbeit Faktoren dargestellt, die auf uns wirken und die uns als Menschen ausmachen. Es sind Faktoren, die auf unsere Freiheit und Verantwortung Einfluss nehmen, indem sie unsere Entscheidungen, unser Urteilsvermögen und in diesem Sinne auch unsere Handlungen ermöglichen oder einschränken. Durch die Darstellung dieser Faktoren werden wir auf unsere Möglichkeiten hingewiesen, die uns unser Leben in Selbstverantwortung und in Verantwortlichkeit den anderen gegenüber gestalten lassen. In dieser Untersuchung wird gezeigt, dass Freiheit ohne Verantwortung nicht möglich ist und es wird gezeigt, dass wir, wenn wir unsere Verantwortung abgeben, unsere Freiheit verlieren.
Galileis "Platonismus" als Reaktion auf das prinzipielle Manko der aristotelischen Bewegungslehre
(2020)
Gattungswesen
(2022)
In which sense can human beings be conceived as social animals? To elucidate this question, the present paper (I) distinguishes the logical sociality of all living beings from the material sociality of social animals and the political sociality of self-conscious social animals. (II) The self-conscious political sociality that characterises the human genus-being requires a complex interplay of first and second person through which alone we can participate in our form of life and determine its content. (III) The human form of life thus constituted is characterised by a particularly open, and at the same time precarious, membership which involves specific forms of vulnerability and power. (IV) Against this background, forms of objective spirit are necessary which grant us a generalized recognition and relieve us from the contingency of each particular second-personal recognition, without abandoning the openness of the sociality of the human form of life. This double requirement has led to paradoxical institutions in modern society which strive to protect and ensure the sociality of the human form of life precisely by naturalising and individualising our access to it.
Ausgehend von Andreas Arndt Buch "Die Reformation der Revolution. Friedrich Schleiermacher in seiner Zeit" wird die Bedeutung der von Schleiermacher konzipierten Dialektik für dessen praktisches Wirken erörtert. Mit der Dialektik stieß er eine Revolutionierung von Mathematik und Logik durch die Gebrüder Graßmann an. Mit seinem Engagement im Rahmen der Humboldtschen Bildungsreform hatte er einen wesentlichen Anteil an der inhaltlichen Neugestaltung der Elementar- und Volksschulbildung. Schleiermachers philosophischer Impuls griff dergestalt - in wohl historisch einmaliger Weise - von der Elementarschulbildung auf die Wissenschaft, insbesondere Mathematik, über.
Ausgehend von Andreas Arndt Buch "Die Reformation der Revolution. Friedrich Schleiermacher in seiner Zeit" wird die Bedeutung der von Schleiermacher konzipierten Dialektik für dessen praktisches Wirken erörtert. Mit der Dialektik stieß er eine Revolutionierung von Mathematik und Logik durch die Gebrüder Graßmann an. Mit seinem Engagement im Rahmen der Humboldtschen Bildungsreform hatte er einen wesentlichen Anteil an der inhaltlichen Neugestaltung der Elementar- und Volksschulbildung. Schleiermachers philosophischer Impuls griff dergestalt - in wohl historisch einmaliger Weise - von der Elementarschulbildung auf die Wissenschaft, insbesondere Mathematik, über.
In his 1844 Economic and Philosophic Manuscripts, Marx famously claims that the human being is or has a ‘Gattungswesen.’ This is often understood to mean that the human being is a ‘species-being’ and is determined by a given ‘species-essence.’ In this chapter, I argue that this reading is mistaken. What Marx calls Gattungswesen is precisely not a ‘species-being,’ but a being that, in a very specific sense, transcends the limits of its own given species. This different understanding of the genus- character of the human being opens up a new perspective on the naturalism of the early Marx. He is not informed by a problematic speciesist and essentialist naturalism, as is often assumed, but by a different form of naturalism which I propose to call ‘dialectical naturalism.’ The chapter starts (I) by developing Hegel’s account of genus which provides us with a useful background for (II) understanding Marx’s original notion of a genus-being and its practical, social, developmental character. In the last section, I show that (III) the actualization of our genus-being thus depends on the production of a specific type of ‘second nature’ that is at the heart of Marx’s dialectical naturalism.
George Santayana
(2021)
Grenzen im Politischen
(2016)
Happy Days
(2009)
Die vorliegende Dissertation zielt generell darauf ab, die Anwendung der dialektischen Methodologie auf den Bereich der Sprachphilosophie zu rechtfertigen und eine systematische Bearbeitung eines begrenzten Teils der Sprachphilosophie mithilfe der Dialektik durchzuführen. Um diese Herangehensweise, die in der Forschung kaum oder gar nicht vertreten ist, aufzuklären und festzustellen, werde ich zuerst auf die philosophischen Überlegungen von zwei Autoren zurückgreifen: Hegel und Wittgenstein.
Hegel und Wittgenstein sind, auf den ersten Blick, Autoren, die kaum Gemeinsamkeiten haben, außer dass sie sich beide mit der Philosophie als Fach beschäftigt und unvermeidlich ein gemeinschaftliches Thema, die Sprache, behandelt haben, wobei jedoch weder eine inhaltliche noch eine methodologische Verbindung hervorgehoben werden könnte. Die erste Voraussetzung dieser Dissertation, in Bezug auf die Geschichte der Idee, besteht darin, darauf hinzudeuten, dass der hegelsche Geistesbegriff und Wittgensteins Lebensform zwei Ansätze und Resultat einer philosophischen Bemühung sind, die gemeinsam die notwendige Auflösung bzw. Überwindung skeptischer Argumentation vornehmen. Tatsächlich hat Wittgenstein in seinen Philosophischen Untersuchungen eine Argumentation entwickelt, die als „Paradox des Regelfolgens“ bezeichnet und in der sekundären Literatur (hauptsächlich bei Kripke) als eine Art skeptische Argumentation betrachtet wurde. Demnach wird Wittgensteins Theorie der Sprache entweder als eine Auflösung dieses Skeptizismus oder einfach als ein skeptischer Text selbst ausgelegt (Brandom). Das erste Ziel meiner Dissertation besteht darin, zu zeigen, dass dieses Paradox als skeptische Argumentation allerdings unvollständig geblieben ist dass dieses Paradox als der erster entscheidender Moment zu der höchsten Form der skeptischen Herausforderung, der Antinomie, betrachtet werden kann. Eine vollständige skeptische Argumentation heißt, dass die alleinige Auflösung des Paradoxes, der Dispositionalismus und die Negation dieser Theorie, beide beweisbar sind. Ich werde also versuchen, aus der in den PU dargestellten Auflösung des Paradoxes des Regelfolgens die Vervollständigung einer Antinomie des Begriffes der Normativität in Bezug auf die Sprachregeln festzulegen, ähnlich der von Kant entwickelten kosmologischen Antinomie (Thesis cum Antithesis). Das zweite Ziel meiner Dissertation besteht folglich darin, zu zeigen, 1. dass die kantische Auflösung der Antinomie unwirksam bezüglich der Antinomie der Normativität ist, 2. dass diese Antinomie eine notwendige Auseinandersetzung mit einem radikalen Skeptizismus bedeutet und dass wir logisch gezwungen sind, nicht nur irgendeine Theorie der Sprachphilosophie neu zu bestimmen, sondern unsere Methodologie – das heißt die Anwendung der üblichen Normen der Rationalität – selbst grundsätzlich tiefer gehend in Frage zu stellen, und 3. dass die hegelsche Dialektik sich als die methodologische Auflösung einer solchen radikalen skeptischen Herausforderung bzw. als die Auflösung einer Antinomie überhaupt ergibt. Anlässlich dieser methodologischen Revidierung wird auf die hegelsche Dialektik zurückgegriffen.
Dennoch begrenzt sich der Zweck dieser Dissertation nicht darauf, eine Interpretation von Hegels Dialektik oder eine Überwindung von Wittgensteins Lebensform darzustellen, vielmehr geht es darum, auf die Problematik und die Grundsätze des Begriffs der Lebensform bzw. des theoretischen Geistes zurückzugreifen und kraft Hegels Dialektik darüber hinauszuführen, um den Platz und die Funktion der Sprache besser zu verstehen. Diese Arbeit erfolgt vielmehr im Rahmen eines wissenschaftlichen Projekts, oder anders gesagt, sie nutzt die methodologischen Resultate von zwei Autoren der Philosophie, um ein wissenschaftliches Programm vorzustellen. Der Anspruch dieser Arbeit ist dementsprechend, durch das Zurückgreifen auf Hegels Dialektik eine neue Erkenntnis über die Sprache zu gewinnen, wobei die beiden kontradiktorischen Momente der Kognition – die Normativität, die durch das Bewusstsein erfolgt und diejenige, die durch Dispositionen erfolgt –, konstruktiv verbinden sind. Der konkrete Gewinn dieser Methodologie ist es demnach, eine Sprachphilosophie überhaupt als System festlegen zu können, ein System, das es ermöglicht, sprachliche Phänomene in all ihren Aspekten in kohärenter Weise zu fassen. Inhaltlich betrachtet zielt dieses Programm darauf ab, die allgemeine Stufe des Begriffs der Sprache als Moment des Begriffs des Geistes dialektisch abzuleiten, d. h. den richtigen Sinn der Sprache festzulegen. Eine vollständige Bearbeitung der Sprachphilosophie mithilfe der Dialektik konnte ich allerdings nicht durchführen, und der Umfang der mithilfe der Dialektik hergeleiteten Sprachkategorien begrenzt sich auf die Lehre der Einbildungskraft, die die Lehre der allgemeinen Semiologie und der Grammatik einschließt.
I argue that Hegel’s Logic traces an emergent-purposive, logical method that entails two key identities in reason. These identities are (1) between a logic of freedom and necessity, and (2) between the possibilities of a priori and a posteriori reasoning in a purposive method. The purposive method of the Logic is the basis for these identities and, in Hegel’s view, facilitates the transition from Kant’s transcendental idealism to absolute idealism. I suggest that this method is Hegel’s attempt to rework a critique of philosophy according to Kant’s insight about the principle grounding the formal purposiveness of the faculties, what Hegel calls, “one of Kant’s greatest services to philosophy.”
Hermetische Offenheit
(2013)
„Ein Buch für Alle und Keinen“ heißt es auf dem Titelblatt von Nietzsches Also sprach Zarathustra. Was wie ein Paradoxon anmutet, verweist jedoch auf den manifesten strukturellen Gehalt eines Werkes, welches der Forschung größtenteils nur mit seinem reichhaltigen narrativen Inhalt entgegentritt. An Nietzsches Also sprach Zarathustra soll in Bezug auf die Klärung des Untertitels untersucht werden, inwiefern die Struktur oder Form des Textes als philosophischer Gehalt verstanden werden kann. Gezeigt werden soll, dass der Zarathustra nicht nur selbstreferentiell den Schlüssel zu seinem Verständnis in sich birgt, sondern auch unabhängig von seinem Inhalt Informationen transportiert, die eigentlich unter einem vermeintlichen methodischen Ausschluss der Möglichkeit des Verstehens, einen philosophischen Sinnhorizont eröffnen.
Es soll gezeigt werden, dass der Zarathustra eine Eigendynamik aufweist, welche im Selbstvollzug ihren philosophischen Gehalt entfaltet. Dabei soll sich zeigen, dass der Text sich in einem Verweisungsgeflecht von in dieser Arbeit herauszuarbeitenden Textebenen in einem Akt der Selbsterfüllung auflöst. Darüber hinaus wird herausgestellt, wie dies geschieht, warum der herauszuarbeitende philosophische Gehalt dieser Dynamik die strukturelle Anforderung an den Text stellt und wie der Untertitel gleichsam als Chiffre, als Leseanweisung, sowie auch als ein den Text manipulierender Katalysator jener skizzierten Dynamik fungiert. Im Laufe dieser Untersuchung wird sich erhärten, was hier als Prämisse angeführt wird: In der Dynamik der Auflösung des Textes sowie in dem im Vollzug des Textes sich ergebenden Ausschluss kommunizierbarer einheitlicher Wahrheiten lösen sich ebenso die vermeintlichen philosophischen Schwergewichte des Zarathustra, wie der Topos des Übermenschen, der Willen zur Macht oder die Ewige Wiederkunft auf, sodass von Lehren oder gar Philosophemen im Also sprach Zarathustra nicht die Rede sein kann.
Diese Arbeit wird zeigen, dass der Text weniger inhaltlich als vielmehr im Vollzug seiner Struktur von philosophischer Bedeutung ist und gar als das folgerichtige Paradigma einer Philosophie angesehen werden kann, welche die Dichotomie des binären Diskurses von ‚wahr‘ und ‚falsch‘ der abendländischen Epistemologie kritisch überwunden zu haben scheint.
J. Dewey and H. Plessner both and independently of one another treated the central question of what new task philosophy must set itself if the assumption is correct that the life-form of mind, i.e., the mental life-form of humans, arose in nature and must also sustain itself in the future within nature. If nature has to reconceived so as to make the irreducible qualities of life and mind truly possible, then it can no longer be restricted to the role of physical material. Conversely humans cannot no longer take on the role of God outside and independent of nature. Instead these philosophers distinguish between three plateaus (Dewey) or stages (Plessner), between physical (inorganic) nature, psycho-physical (living) nature and the nature that is mental life. This distinction is drawn such that a connection between the plateaus is truly possible. The third level, that of the mental form of life, answers mentally within conduct to the break with the first two levels. Hence it depends in the future as well on the continuously renewed difference (between the precarious and the stable for Dewey, between immediacy and mediation for Plessner) in our experience of nature. Within this difference nature as a whole remains an open unknown, which is why we can credit Dewey with a philosophy of diversified and negative holism, Plessner with a differential philosophy of the negativity of the absolute.
Im Netz der Zeit
(2019)
In der vorliegenden Schrift, die aus der Dissertation der Zwillinge Konstantin und Kornelius Keulen im Fach Philosophie hervorgegangen ist, werden die vielfältigen Verwebungs- und Vernetzungszusammenhänge des Internet zeit- und ereignisphilosophischer Ausdeutung weist nach Meinung der Autoren den Weg, das Konglomerat Internet als technomediales menschliches Produkt in seinen sozio-kulturellen, politisch-ökonomischen und psychosozialen Komplexitäten ausdeutbar zu machen.
In honour of Seymour Papert
(2018)
Forth is nice and flexible but to a philosopher and teacher educator Logo is the more impressing language. Both are relatives of Lisp, but Forth has a reverse Polish notation where as Logo has an infix notation. Logo allows top down programming, Forth only bottom up. Logo enables recursive programming, Forth does not. Logo includes turtle graphics, Forth has nothing comparable. So what to do if you can't get Logo and have no information about its inner architecture? This should be a case of "empirical modelling": How can you model observable results of the behaviour of Logo in terms of Forth? The main steps to solve this problem are shown in the first part of the paper.
The second part of the paper discusses the problem of modelling and shows that the modelling of making and the modelling of recognition have the same mathematical structure. So "empirical modelling" can also serve for modelling desired behaviour of technical systems.
The last part of the paper will show that the heuristic potential of a problem which should be modeled is more important than the programming language. The Picasso construal shows, in a very simple way, how children of different ages can model emotional relations in human behaviour with a simple Logo system.
In Quest of Subjectivity
(2009)
Institutional logics in inter-departmental coordination: Why actors agree on a joint policy output
(2017)
By investigating two German inter-departmental committees, this article shows that the policy output of these coordination bodies depends on the specific institutional logic evoked throughout the coordination process. While in one of the groups a policy logic prevailed and a joint coordination output was achieved, the other was dominated by a political logic and proved unable to achieve agreement. The article contributes to research on government coordination by showing that actor orientations are crucial for explaining inter-organizational coordination. The results direct attention to the behavioural implications of coordination structures.
Intentionality in Sellars
(2021)
This book argues that Sellars’ theory of intentionality can be understood as an advancement of a transcendental philosophical approach. It shows how Sellars develops his theory of intentionality through his engagement with the theoretical philosophy of Immanuel Kant.
The book delivers a provocative reinterpretation of one of the most problematic and controversial concepts of Sellars' philosophy: the picturing-relation. Sellars' theory of intentionality addresses the question of how to reconcile two aspects that seem opposed: the non-relational theory of intellectual and linguistic content and a causal-transcendental theory of representation inspired by the philosophy of the early Wittgenstein. The author explains how both parts cohere in a transcendental account of finite knowledge. He claims that this can only be achieved by reading Sellars as committed to a transcendental methodology inspired by Kant. In a final step, he brings his interpretation to bear on the contemporary metaphilosophical debate on pragmatism and expressivism.
Intentionality in Sellars will be of interest to scholars of Sellars and Kant, as well as researchers working in philosophy of mind, epistemology, and the history of nineteenth- and twentieth-century philosophy.
Recent research related to the concept of interest is reviewed. It is argued that current constructs of motivation fail to include crucial aspects of the meaning of interest emphasized by classical American and German educational theorists. In contrast with many contemporary concepts (e.g., intrinsic learning orientation), interest is defined as a content-specific motivational characteristic composed of intrinsic feeling-related and value-related valences. Results from a number of studies are presented that indicate the importance of interest for the depth of text comprehension, the use of learning strategies, and the quality of the emotional experience while learning. The implications of these results and possible directions for future research are discussed.