@phdthesis{D'Agata2014, author = {D'Agata, Valeria Costanza}, title = {A partire dalla Somaestetica di Shusterman}, url = {http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:kobv:517-opus4-72650}, school = {Universit{\"a}t Potsdam}, pages = {280}, year = {2014}, abstract = {Con la sua proposta di una Somaestetica, articolata fondamentalmente in analitica, pragmatica e pratica, Richard Shusterman intende in primo luogo fornire e creare una cornice metodologica, un orientamento unitario che sia in grado di rintracciare, ricostruire e portare a manifestazione - all'interno di eterogenee riflessioni teoriche e pratiche somatiche - la comune esigenza di ridare luce alla dimensione corporea come modo primario di essere nel mondo. Recuperando l'accezione baumgarteniana di Aesthetica come gnoseologia inferiore, arte dell'analogo della ragione, scienza della conoscenza sensibile, la somaestetica intende dare nuovo impulso alla pi{\`u} profonda radice di estetica e filosofia che coglie la vita nel suo processo di metamorfosi e rigenerazione continua, in quel respiro vitale che, per quanto possa diventare cosciente, non {\`e} mai totalmente afferrabile dalla ragione discorsiva, situandosi piuttosto in quello spazio primordiale in cui coscienza e corpo si coappartengono, in cui il soggetto non {\`e} ancora individualizzabile perch{\´e} fuso con l'ambiente, non {\`e} totalmente privatizzabile perch{\´e} intrinsecamente plasmato dal tessuto sociale cui egli stesso conferisce dinamicamente forma. A partire dunque dalla rivalutazione del concetto di Aisthesis la disciplina somaestetica mira ad una intensificazione di sensorialit{\`a}, percezione, emozione, commozione, rintracciando proprio nel Soma la fonte di quelle facolt{\`a} "inferiori" irriducibili a quelle puramente intellettuali, che permettono di accedere alle dimensioni qualitative dell'esperienza, di portare a manifestazione e far maturare l'essere umano come essere indivisibile che non si lascia incontrare da un pensiero che ne rinnega l'unitariet{\`a} in nome di fittizie e laceranti distinzioni dicotomiche. Nel corpo infatti si radicano in modo silente regole, convenzioni, norme e valori socioculturali che determinano e talvolta limitano la configurazione ed espressione di sensazioni, percezioni, cognizioni, pensieri, azioni, volizioni, disposizioni di un soggetto da sempre inserito in una Mitwelt (mondo comune), ed {\`e} allora proprio al corpo che bisogna rivolgersi per riconfigurare pi{\`u} autentiche modalit{\`a} di espressione del soggetto che crea equilibri dinamici per mantenere una relazione di coerenza con il pi{\`u} ampio contesto sociale, culturale, ambientale. L'apertura al confronto con eterogenee posizioni filosofiche e l'intrinseca multidisciplinariet{\`a} spiegano la centralit{\`a} nel contemporaneo dibattito estetologico internazionale della Somaestetica che, rivolgendosi tanto ad una formulazione teorica quanto ad una concreta applicazione pratica, intende rivalutare il soma come corporeit{\`a} intelligente, senziente, intenzionale e attiva, non riducibile all'accezione peccaminosa di caro (mero corpo fisico privo di vita e sensazione). Attraverso la riflessione e la pratica di tecniche di coscienza somatica si portano in primo piano i modi in cui il sempre pi{\`u} consapevole rapporto con la propria corporeit{\`a} come mediatamente esperita e immediatamente vissuta, sentita, offre occasioni autentiche di realizzazione progressiva di s{\´e} innanzitutto come persone, capaci di autocoltivazione, di riflessione cosciente sulle proprie abitudini incorporate, di ristrutturazione creativa di s{\´e}, di intensificata percezione e apprezzamento sensoriale sia nel concreto agire quotidiano, sia nella dimensione pi{\`u} propriamente estetologica di ricezione, fruizione e creazione artistica. L'indirizzo essenzialmente pragmatista della riflessione di Shusterman traccia cos{\`i} una concezione fondamentalmente relazionale dell'estetica in grado di porsi proprio nel movimento e nel rapporto continuamente diveniente di vera e propria trasformazione e passaggio tra le dimensioni fisiche, proprio-corporee, psichiche e spirituali del soggetto la cui interazione, ed il cui reciproco riversarsi le une nelle altre, pu{\`o} risultare profondamente arricchito attraverso una progressiva e sempre crescente consapevolizzazione della ricchezza della dimensione corporea in quanto intenzionale, percettiva, senziente, volitiva, tanto quanto vulnerabile, limitante, caduca, patica. Il presente lavoro intende ripercorrere ed approfondire alcuni dei principali referenti di Shusterman, focalizzandosi prevalentemente sulla radice pragmatista della sua proposta e sul confronto con il dibattito di area tedesca tra estetica, antropologia filosofica, neofenomenologia e antropologia medica, per riguadagnare una nozione di soma che proprio a partire dal contrasto, dall'impatto irriducibile con la potenza annullante delle situazioni limite, della crisi possa acquisire un pi{\`u} complesso e ricco valore armonizzante delle intrinseche e molteplici dimensioni che costituiscono il tessuto della soggettivit{\`a} incarnata. In particolare il primo capitolo (1. Somaestetica) chiarisce le radici essenzialmente pragmatiste della proposta shustermaniana e mostra come sia possibile destrutturare e dunque riconfigurare radicati modi di esperienza, rendendo coscienti abitudini e modi di vivere che si fissano a livello somatico in modo per lo pi{\`u} inavvertito. Il confronto con la nozione di Habitus, di cui Pierre Bourdieu mette brillantemente in luce l'invisibile e socialmente determinata matrice somatica, lascia scorgere come ogni manifestazione umana sia sostenuta dall'incorporazione di norme, credenze, valori che determinano e talvolta limitano l'espressione, lo sviluppo, persino le predisposizioni e le inclinazioni degli individui. Ed {\`e} proprio intervenendo a questo livello che si pu{\`o} restituire libert{\`a} alle scelte e aprirsi cos{\`i} alle dimensioni essenzialmente qualitative dell'esperienza che, nell'accezione deweyana {\`e} un insieme olistico unitario e coeso che fa da sfondo alle relazioni organismo-ambiente, un intreccio inestricabile di teoria e prassi, particolare e universale, psiche e soma, ragione ed emozione, percettivo e concettuale, insomma quell'immediata conoscenza corporea che struttura lo sfondo di manifestazione della coscienza.}, language = {it} } @phdthesis{Grosso2021, author = {Grosso, Stefano}, title = {Anerkennung und Macht}, doi = {10.25932/publishup-50846}, url = {http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:kobv:517-opus4-508461}, school = {Universit{\"a}t Potsdam}, pages = {152}, year = {2021}, abstract = {In der vorliegenden Untersuchung habe ich das Ziel verfolgt, einen sachlich-eigenst{\"a}ndigen Beitrag f{\"u}r eine Debatte gegen Honneths kritische Gesellschaftstheorie zu leisten. In dieser Debatte wird Honneth dahingehend kritisiert, dass es ihm mit seiner kritischen Gesellschaftstheorie entgegen seiner eigenen systematischen Zielsetzung nicht gelingt, in modernen liberaldemokratischen Gesellschaften s{\"a}mtliche Ph{\"a}nomene von sozialer Herrschaft kritisch zu hinterfragen. Denn soziale Anerkennung, die Honneth als Schl{\"u}sselbegriff f{\"u}r diese kritische Hinterfragung behandelt, bei der soziale Herrschaft in Verbindung mit sozialer Missachtung (als mangelnde soziale Anerkennung) steht, kann laut der Kritik faktisch selbst ein Medium f{\"u}r die Stiftung von sozialer Unterwerfung sein. Dies geschieht in Prozessen von Identit{\"a}tsentwicklung, in denen soziale Anerkennung f{\"u}r Individuen als Anerkannte bestimmte Identit{\"a}tsm{\"o}glichkeiten einr{\"a}umt und auf diese Weise gleichzeitig andere Identit{\"a}tsm{\"o}glichkeiten ausschließt, womit sie auf diese Identit{\"a}t einschr{\"a}nkend und insofern herrschend wirkt. Es handelt sich um eine Form von sozialer Herrschaft, die durch soziale Anerkennung gestiftet wird. Honneth zieht dem Vorwurf zufolge nicht in Erw{\"a}gung, dass soziale Anerkennung bei Individuen als Anerkannte einen solchen negativen Effekt erzielen kann. Hieraus ergeben sich die Fragen, ob soziale Anerkennung in Prozessen von Identit{\"a}tsentwicklung jeweils mit sozialer Herrschaft einhergeht und wie dieser Typus von sozialer Herrschaft kritisiert werden kann. Diese Fragen hat Honneth zuletzt in einem pers{\"o}nlichen Gespr{\"a}ch mit Allen und Cooke (als zwei Teilnehmerinnen der Debatte gegen Honneth) beantwortet. An dieser Stelle vertritt er mit beiden Gespr{\"a}chsteilnehmerinnen die Auffassung, dass die Operation der Einschr{\"a}nkung von Identit{\"a}tsm{\"o}glichkeiten an sich keine Operation darstellt, welche, wie sonst in der Debatte gegen seine kritische Gesellschaftstheorie behauptet wird, auf soziale Herrschaft zur{\"u}ckf{\"u}hrt. Diese Auffassung beruht auf der Idee, wonach soziale Anerkennung sich in jenem praktischen Kontext nur unter der Bedingung als herrschaftsstiftend erweist, dass sie immanente Prinzipien verletzt, die substanziell kritische Maßst{\"a}be definieren. Mein Beitrag zu dieser Debatte gegen Honneth besteht auf der einen Seite in der Erkl{\"a}rung, dass sowohl jene Auffassung als auch jene Idee argumentativ mangelhaft sind, und auf der anderen Seite in der Ausf{\"u}hrung des Vorhabens, diesen argumentativen Mangel selbst zu beheben. Gegen jene Auffassung behaupte ich, dass die drei Autoren in ihrem Gespr{\"a}ch nicht erl{\"a}utern, inwiefern soziale Anerkennung nicht herrschend wirkt, wenn sie die Identit{\"a}tsm{\"o}glichkeiten von Individuen als Anerkannte einschr{\"a}nkt, denn mit dieser Einschr{\"a}nkung wird vielmehr faktisch {\"u}ber diese Individuen geherrscht - die Debatte gegen Honneth, so zur Unterst{\"u}tzung dieser Ansicht, baut haupts{\"a}chlich auf ebendiesem Faktum auf. Gegen jene Idee habe ich f{\"u}nf problematische Fragen gestellt und beantwortet, die Bezug eigentlich nicht allein auf diese Idee selbst, sondern {\"u}berdies auf weitere, naheliegende Ideen nehmen, welche die drei Autoren angesprochen haben.}, language = {de} } @phdthesis{Plodeck2010, author = {Plodeck, Judith}, title = {Bruce Nauman und Olafur Eliasson : Strategien performativer Installationen}, publisher = {Universit{\"a}tsverlag Potsdam}, address = {Potsdam}, isbn = {978-3-86956-032-8}, url = {http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:kobv:517-opus-40754}, school = {Universit{\"a}t Potsdam}, pages = {342}, year = {2010}, abstract = {Die Analyse vergleicht Installationen von Bruce Nauman und Olafur Eliasson ausgehend von der Fragestellung, wie sich die k{\"u}nstlerischen Performativit{\"a}tsstrategien der 1960er/70er Jahren und die der zeitgen{\"o}ssischen Kunst in ihren Wirkungen und Effekten unterscheiden lassen. Dabei werden die Positionen der beiden K{\"u}nstler als paradigmatisch f{\"u}r eine {\"A}sthetik des Performativen angesehen. Neben dem Vergleich der K{\"u}nstler steht die theoretische Auseinandersetzung mit der Diskursfigur der Performativit{\"a}t sowie deren methodischen Anwendbarkeit in der Kunstwissenschaft im Vordergrund. W{\"a}hrend sich Installationen der 1960er/70er Jahre besonders durch die psycho-physische Einwirkung auf die Sinneswahrnehmung des Betrachters auszeichnen und durchaus Schockeffekte beim Betrachter hervorrufen, befasst sich die zeitgen{\"o}ssische Kunstpraxis vornehmlich mit visuellen und poetischen Effekten, die eine kontemplative Rezeptionshaltung des Betrachters einfordern. Bruce Nauman war es ein Anliegen, den tradierten Status des Kunstwerks als ein zu Betrachtendes, das sich durch Begriffe wie Form, Ursprung und Originalit{\"a}t fassen ließ, in Frage zu stellen und stattdessen eine reale leibliche Erfahrung f{\"u}r den Betrachter nachvollziehbar werden zu lassen. K{\"u}nstlern wie Olafur Eliasson geht es in den k{\"u}nstlerischen Produktionen vor allem um die Wahrnehmung der Wahrnehmung sowie der Erzeugung von Pr{\"a}senzeffekten. Mit dem Aufkommen solcher Verfahren wurde deutlich, dass performative Installationen nach anderen Beschreibungsformen verlangten und, dass diese durch eine {\"A}sthetik des Performativen gefasst werden k{\"o}nnen. Wie genau vollzieht sich der Wandel von den performativen Strategien der 1960er/70er Jahre zu denen der zeitgen{\"o}ssischen Installationsk{\"u}nstlern? Verl{\"a}uft dieser vom Schock zur Poesie?}, language = {de} } @phdthesis{Heuberger2022, author = {Heuberger, Adrian}, title = {Das Erste ist das Letzte und das Letzte ist das Erste}, doi = {10.25932/publishup-54984}, url = {http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:kobv:517-opus4-549846}, school = {Universit{\"a}t Potsdam}, pages = {224}, year = {2022}, abstract = {The following paper argues that Hegel's Science of Logic is a radical attempt to conceive the absolute as having no outside. This can already be noticed in the beginning of the Logic: If there can be nothing outside the absolute, then the beginning cannot be outside the absolute either. Consequently, the beginning must be made with the absolute itself. However, setting the beginning as absolute is at the same time testing the beginning of its absoluteness. And the beginning does not pass this test. For it is the nature of a beginning to be only a beginning and not the whole. And thus it is also not the absolute. The beginning is the most distant determination from being the whole and must therefore be considered as the most non-absolute in Logic. Consequently, the beginning is both: It is a beginning with the absolute and it is a beginning with the most non-absolute. The very beginning of the Logic is already a self-contradiction. The Logic must free itself from this contradiction. And this liberation is what makes the progress that leads beyond the beginning and in which the beginning is sublated. The progress develops subsequent determinations. Each of them is posited as absolute, but none of them can satisfy this absoluteness so that each of them is sublated again in subsequent determinations. Every determination that follows the beginning undergoes this movement of absolutisation, of failing to fulfill absoluteness, and of sublating itself, until - at the very end of Logic - this very movement is recognised as that which alone is capable of fulfilling absoluteness. For if every determination is submitted to this movement, then there is no outside to this movement. And therefore, it must be the absolute. On its progress to elaborate the true meaning of the absolute, the Logic returns repeatedly to the determination of its beginning, in order to catch up with presuppositions that had to be made for exposing its initial determination. The following passages will be of particular interest for catching up with these presuppositions: the transition into the science of Essence, the transition into the science of Notion and the concluding chapter of the Logic. For even at the very end, the Logic returns to its beginning. This led to the following statement by Hegel, which also inspired the title of this paper: The first is also the last and the last is also the first.}, language = {de} } @phdthesis{Ballnat2012, author = {Ballnat, Silvana}, title = {Das Verh{\"a}ltnis zwischen den Begriffen "Erfahrung" und "Sprache" ausgehend von Hans-Georg Gadamers "Wahrheit und Methode" : eine antireduktionistische Lesart gegen Relativismusvorw{\"u}rfe}, publisher = {Universit{\"a}tsverlag Potsdam}, address = {Potsdam}, isbn = {978-3-86956-176-9}, url = {http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:kobv:517-opus-59047}, school = {Universit{\"a}t Potsdam}, pages = {358}, year = {2012}, abstract = {Meiner nichtreduktionistischen Lesart Gadamers, derzufolge eine wechselseitige konstitutive Relation zwischen „Sprache" und „Erfahrung" besteht, ist es gestattet, den Vorwurf, die Sprachphilosophie Gadamers f{\"u}hre in den Relativismus, den man h{\"a}ufig gegen{\"u}ber sprachphilosophischen Positionen erhebt, abzuweisen. Manchen Denkern zufolge haben die Philosophen der Postmoderne, zu denen auch Gadamer gez{\"a}hlt wurde, eine einfache Umkehrung der beiden Pole des modernen Verh{\"a}ltnisses „Sprache" - „Erfahrung" vollzogen: W{\"a}hrend die Sprache in der Moderne in ihrer Bedingtheit zur Erfahrung und als bloßes Ausdrucksmittel verstanden wurde, wurde dieses Verh{\"a}ltnis in der neueren Philosophie nur umgekehrt, insofern die Philosophie in der Sprache das Fundament f{\"u}r die Erfahrung sehe, wonach die Erfahrung als ein Ausdruck der Sprache erscheine. Die vorliegende Arbeit setzt sich mit diesem Relativismusvorwurf auseinander und beabsichtigt, eine wechselseitige Abh{\"a}ngigkeit zwischen Sprache und Erfahrung ausgehend von Hans-Georg Gadamers Werk zu entwickeln. Um das zu erreichen, wurden zun{\"a}chst eine doppelte negative-positive Erfahrungsstruktur und dann einige ph{\"a}nomenologische und transzendentale Merkmale der Erfahrung auf dem historischen Hintergrund f{\"u}r Gadamers Erfahrungsbegriff herausgearbeitet. Somit machte sich die konstitutive Sprachlichkeit der Erfahrung erkennbar. In einer Auseinandersetzung mit dem Sprachbegriff auf der anderen Seite wurde sein dialogischer und welterschließender Charakter veranschaulicht, so dass auch seine Angewiesenheit auf die Welterfahrung offenkundig wurde.}, language = {de} } @phdthesis{Heybl2016, author = {Heybl, Christine}, title = {Der Klimawandel}, url = {http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:kobv:517-opus4-102442}, school = {Universit{\"a}t Potsdam}, pages = {293}, year = {2016}, abstract = {Was ist Gerechtigkeit? Wie k{\"o}nnten gerechte Regelungen aussehen f{\"u}r die Katastrophen und Leiden, die der Klimawandel ausl{\"o}st bzw. ausl{\"o}sen wird? Diese sind h{\"a}ufig ungerecht, weil sie oft deutlich st{\"a}rker diejenigen treffen, die am wenigsten zur Klimaver{\"a}nderung beigetragen haben. Doch was genau verstehen wir unter dem Schlagwort: ‚Klimawandel'? Und kann dieser wirklich den Menschen direkt treffen? Ein kurzer naturwissenschaftlicher Abriss kl{\"a}rt hier die wichtigsten Fragen. Da es sich hierbei um eine philosophische Arbeit handelt, muss zun{\"a}chst gekl{\"a}rt werden, ob der Mensch {\"u}berhaupt die Ursache von so etwas sein kann wie z.B. der Klimaerw{\"a}rmung. Robert Spaemanns These dazu ist, dass der Mensch durch seinen freien Willen mit seinen Einzelhandlungen das Weltgeschehen ver{\"a}ndern kann. Hans Jonas f{\"u}gt dem hinzu, dass wir durch diese F{\"a}higkeit, verantwortlich sind f{\"u}r die gewollten und ungewollten Folgen unserer Handlungen. Damit w{\"a}re aus naturwissenschaftlicher Sicht (1. Teil der Arbeit) und aus philosophischer Sicht (Anfang 2. Teil) gekl{\"a}rt, dass der Mensch mit gr{\"o}ßter Wahrscheinlichkeit die Ursache des Klimawandels ist und diese Verursachung moralische Konsequenzen f{\"u}r ihn hat. Ein philosophischer Gerechtigkeitsbegriff wird aus der Kantischen Rechts- und Moralphilosophie entwickelt, weil diese die einzige ist, die dem Menschen {\"u}berhaupt ein Recht auf Rechte zusprechen kann. Diese entspringt der transzendentalen Freiheitsf{\"a}higkeit des Menschen, weshalb jedem das Recht auf Rechte absolut und immer zukommt. Gleichzeitig m{\"u}ndet Kants Philosophie wiederum in dem Freiheitsgedanken, indem Gerechtigkeit nur existiert, wenn alle Menschen gleichermaßen frei sein k{\"o}nnen. Was heißt das konkret? Wie k{\"o}nnte Gerechtigkeit in der Realit{\"a}t wirklich umgesetzt werden? Die Realisierung schl{\"a}gt zwei Grundrichtungen ein. John Rawls und Stefan Gosepath besch{\"a}ftigen sich u.a. eingehend mit der prozeduralen Gerechtigkeit, was bedeutet, dass gerechte Verfahren gefunden werden, die das gesellschaftliche Zusammenleben regeln. Das leitende Prinzip hierf{\"u}r ist vor allem: ein Mitbestimmungsrecht aller, so dass sich im Prinzip alle B{\"u}rger ihre Gesetze selbst geben und damit frei handeln. In Bezug auf den Klimawandel steht die zweite Ausrichtung im Vordergrund - die distributive oder auch Verteilungs-Gerechtigkeit. Materielle G{\"u}ter m{\"u}ssen so aufgeteilt werden, dass auch trotz empirischer Unterschiede alle Menschen als moralische Subjekte anerkannt werden und frei sein k{\"o}nnen. Doch sind diese philosophischen Schlussfolgerungen nicht viel zu abstrakt, um auf ein ebenso schwer fassbares und globales Problem wie den Klimawandel angewendet zu werden? Was k{\"o}nnte daher eine Klimagerechtigkeit sein? Es gibt viele Gerechtigkeitsprinzipien, die vorgeben, eine gerechte Grundlage f{\"u}r die Klimaprobleme zu bieten wie z.B. das Verursacherprinzip, das F{\"a}higkeitsprinzip oder das Grandfathering-Prinzip, bei dem die Hauptverursacher nach wie vor am meisten emittieren d{\"u}rfen (dieses Prinzip leitete die bisherigen internationalen Verhandlungen). Das Ziel dieser Arbeit ist, herauszufinden, wie die Klimaprobleme gel{\"o}st werden k{\"o}nnen, so dass f{\"u}r alle Menschen unter allen Umst{\"a}nden die universellen Menschenrechte her- und sichergestellt werden und diese frei und moralisch handeln k{\"o}nnen. Die Schlussfolgerung dieser Arbeit ist, dass Kants Gerechtigkeitsbegriff durch eine Kombination des Subsistenzemissions-Rechts, des Greenhouse-Development-Rights-Principles (GDR-Prinzip) und einer internationalen Staatlichkeit durchgesetzt werden k{\"o}nnte. Durch das Subsistenzemissions-Recht hat jeder Mensch das Recht, so viel Energie zu verbrauchen und damit zusammenh{\"a}ngende Emissionen zu produzieren, dass er ein menschenw{\"u}rdiges Leben f{\"u}hren kann. Das GDR-Prinzip errechnet den Anteil an der weltweiten Gesamtverantwortung zum Klimaschutz eines jeden Landes oder sogar eines jeden Weltb{\"u}rgers, indem es die historischen Emissionen (Klimaschuld) zu der jetzigen finanziellen Kapazit{\"a}t des Landes/ des Individuums (Verantwortungsf{\"a}higkeit) hinzuaddiert. Die Implementierung von internationalen Gremien wird verteidigt, weil es ein globales, grenz{\"u}berschreitendes Problem ist, dessen Effekte und dessen Verantwortung globale Ausmaße haben. Ein schlagendes Argument f{\"u}r fast alle Klimaschutzmaßnahmen ist, dass sie Synergien aufweisen zu anderen gesellschaftlichen Bereichen aufweisen wie z.B. Gesundheit und Armutsbek{\"a}mpfung, in denen auch noch um die Durchsetzung unserer Menschenrechte gerungen wird. Ist dieser L{\"o}sungsansatz nicht v{\"o}llig utopisch? Dieser Vorschlag stellt f{\"u}r die internationale Gemeinschaft eine große Herausforderung dar, w{\"a}re jedoch die einzig gerechte L{\"o}sung unserer Klimaprobleme. Des Weiteren wird an dem Kantischen Handlungsgrundsatz festgehalten, dass das ewige Streben auf ideale Ziele hin, die beste Verwirklichung dieser durch menschliche, fehlbare Wesen ist.}, language = {de} } @phdthesis{Antić2018, author = {Antić, Andreas}, title = {Digitale {\"O}ffentlichkeiten und intelligente Kooperation}, publisher = {Universit{\"a}tsverlag Potsdam}, address = {Potsdam}, isbn = {978-3-86956-431-9}, doi = {10.25932/publishup-41096}, url = {http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:kobv:517-opus4-410964}, school = {Universit{\"a}t Potsdam}, pages = {ii, 454}, year = {2018}, abstract = {Um die gegenw{\"a}rtige Transformation der {\"O}ffentlichkeit im digitalen Zeitalter erfassen zu k{\"o}nnen, ist in der {\"O}ffentlichkeitstheorie eine erweiterte Perspektive notwendig, die nicht nur den massenmedialen Diskurs, sondern auch die Ver{\"a}nderung sozialer Praktiken und institutioneller Strukturen in den Blick nimmt. Das Ziel dieses Buches besteht darin, die Grundlagen einer solchen Perspektive auf die Theorie digitaler {\"O}ffentlichkeiten zu entwickeln. Im vorgeschlagenen Ansatz wird {\"O}ffentlichkeit im Anschluss an John Dewey als Prozess verstanden. In seiner prozessualen und funktionalen Bestimmung von {\"O}ffentlichkeit liegt eine besondere Originalit{\"a}t, die seinen Ansatz von anderen {\"O}ffentlichkeitskonzeptionen unterscheidet. Das Buch liefert sowohl eine systematische Rekonstruktion und Interpretation der Philosophie John Deweys als auch einen Vorschlag zur gesellschaftstheoretischen Deutung des digitalen Wandels.}, language = {de} } @phdthesis{Fuhr2019, author = {Fuhr, Antonie}, title = {Eine Hypothese {\"u}ber die Grundlagen von Moral und einige Implikationen}, doi = {10.25932/publishup-44309}, url = {http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:kobv:517-opus4-443091}, school = {Universit{\"a}t Potsdam}, pages = {172}, year = {2019}, abstract = {In der Dissertationsarbeit mit dem Titel „Eine Hypothese {\"u}ber die Grundlagen von Moral und einige Implikationen" unternimmt die Autorin den Versuch, die anthropologischen Pr{\"a}missen moralischen Handelns herauszuarbeiten. Es wird eine Hypothese aufgestellt und erl{\"a}utert, die behauptet, dass moralisches Handeln nur dann verst{\"a}ndlich wird, wenn der Handelnde erstens die F{\"a}higkeit der Phantasie aufweist, zweitens auf Erfahrungen (mittels seines Ged{\"a}chtnisses) zugreifen kann und durch Konversation mit anderen Personen interagierte und interagiert, denn nur auf der Basis dieser drei Grundlagen von Moral k{\"o}nnen sich diejenigen F{\"a}higkeiten ent¬wickeln, die als Voraussetzungen moralischen Handeln gesehen werden m{\"u}ssen: Selbstbewusstsein, Freiheit, die Entwicklung eines Wir-Gef{\"u}hls, die Genese eines moralischen Ideals und die F{\"a}higkeit, sich im Entscheiden und Handeln nach diesem Ideal richten zu k{\"o}nnen. Außerdem werden in dieser Dissertation einige Implikationen dieser Hypothese auf individueller und zwischenmenschlicher Ebene diskutiert.}, language = {de} } @phdthesis{Morad2013, author = {Morad, Iris}, title = {Freiheit und Verantwortung : {\"U}berlegungen im Anschluss an Peter Bieri}, url = {http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:kobv:517-opus-69215}, school = {Universit{\"a}t Potsdam}, year = {2013}, abstract = {In der Diskussion {\"u}ber Freiheit und Verantwortung vertritt die Hirnforschung die These, dass wir determiniert sind und unser Gehirn es ist, das denkt und entscheidet. Aus diesem Grunde k{\"o}nne uns f{\"u}r unsere Entscheidungen und Handlungen auch keine Verantwortung zugewiesen werden. Die Philosophie versucht in dieser Diskussion zu kl{\"a}ren, ob wir trotz Determiniertheit f{\"u}r unsere Entscheidungen und Urteile verantwortlich sind oder ob Vereinbarkeit von Freiheit und Determinismus grunds{\"a}tzlich nicht m{\"o}glich ist. Diese Fragen stellt diese Untersuchung {\"u}ber Freiheit und Verantwortung nicht. In dieser Untersuchung wird ein gewisses Maß an Freiheit vorausgesetzt, weil diese Annahme der erste Schritt f{\"u}r unsere Freiheit ist. In dieser Arbeit geht es um die Verbindung von Freiheit und Verantwortung und was diese Verbindung in unserem Menschsein und Miteinander bedeutet. Ziel ist es, zu zeigen, dass wir uns zus{\"a}tzliche Freiheit aneignen k{\"o}nnen, dass Bildung f{\"u}r unsere Freiheit n{\"o}tig und dass Freiheit ohne Verantwortung nicht m{\"o}glich ist. Die Untersuchung schließt sich Peter Bieris Thesen an, dass Aneignung von Freiheit und Bildung, die weder als Schul- noch als Ausbildung zu verstehen ist, m{\"o}glich und n{\"o}tig sind, um verantwortlich entscheiden und handeln zu k{\"o}nnen, lehnt jedoch Peter Bieris These ab, dass bedingte Freiheit Voraussetzung f{\"u}r unsere Freiheit ist. Zudem geht diese Arbeit {\"u}ber Peter Bieri hinaus, indem sie eine L{\"o}sungsm{\"o}glichkeit f{\"u}r unsere Freiheit und der damit verbundenen Verantwortlichkeit anbietet. Als L{\"o}sung wird eine Bildung vorgeschlagen, die uns die Verbundenheit mit den anderen und die Abh{\"a}ngigkeit von den anderen zeigt und die die Rechte und Bed{\"u}rfnisse der anderen ebenso anerkennen l{\"a}sst wie unsere eigenen. Es ist eine Bildung, die nicht nur Wissen, sondern auch bestimmte rationale und emotionale Kompetenzen beinhaltet. Es ist eine Bildung, die als lern- und lehrbar angesehen wird. Um diese Bildung als eine Notwendigkeit f{\"u}r unsere Freiheit und Verantwortlichkeit uns und den anderen gegen{\"u}ber vermitteln zu k{\"o}nnen, ist es wichtig, uns in unserem Wesen verstehen. Deshalb werden in dieser Arbeit Faktoren dargestellt, die auf uns wirken und die uns als Menschen ausmachen. Es sind Faktoren, die auf unsere Freiheit und Verantwortung Einfluss nehmen, indem sie unsere Entscheidungen, unser Urteilsverm{\"o}gen und in diesem Sinne auch unsere Handlungen erm{\"o}glichen oder einschr{\"a}nken. Durch die Darstellung dieser Faktoren werden wir auf unsere M{\"o}glichkeiten hingewiesen, die uns unser Leben in Selbstverantwortung und in Verantwortlichkeit den anderen gegen{\"u}ber gestalten lassen. In dieser Untersuchung wird gezeigt, dass Freiheit ohne Verantwortung nicht m{\"o}glich ist und es wird gezeigt, dass wir, wenn wir unsere Verantwortung abgeben, unsere Freiheit verlieren.}, language = {de} } @phdthesis{Damour2019, author = {Damour, Jean-Claude}, title = {Hegel und Wittgenstein {\"u}ber den Sinn der Sprache}, doi = {10.25932/publishup-43103}, url = {http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:kobv:517-opus4-431036}, school = {Universit{\"a}t Potsdam}, pages = {132}, year = {2019}, abstract = {The key objectives of this dissertation are to justify the use of dialectic methodology in the realm of the philosophy of language and to conduct a systematic processing of a limited part of this field. In order to explain and determine this approach, which is found rarely, if ever, in contemporary research, I will begin by referring to two philosophical authors: Hegel and Wittgenstein. Although Hegel and Wittgenstein are, prima facie, two authors who have very little in common, the primary supposition of this dissertation regarding the history of ideas is that Hegel's concept of "Spirit" and Wittgenstein's concept of "Form of life" are nevertheless both approaches and the results of philosophical effort that imply the necessity of solving a sceptical challenge. Wittgenstein actually developed an argument in his Philosophical Investigations that has been described as the "rule-following paradox" and has been considered in secondary literature (especially Kripke) as the main tenet of a sceptical argument. Consequently, Wittgenstein's theory of language as developed in Philosophical Investigations has been interpreted by various authors either as a solution to this scepticism or as a sceptical, or "aporetic", text in itself (Brandom). The first section of my dissertation aims to demonstrate that dealing with this paradox does not constitute a full sceptical argument and can be considered as the first moment of a higher form of sceptical challenge, an antinomy. A full sceptical challenge implies both the possibility that the theory corresponding to the unique solution of the paradox, the negation of any explicit normativity ("dispositionalism"), and the negation of the principle of this solution, can be proved. I'll therefore attempt to establish an antinomy of the concept of normativity with respect to the rule of language, similar to Kant's exposure of his cosmological antinomy (thesis cum antithesis). The second aim of my dissertation is to show: that Kant's approach to solving his antinomy is ineffective concerning the antinomy of normativity; that this antinomy implies a confrontation with radical scepticism in a sense that we are committed not to simply challenging or reconsidering some theories, but to engaging in a deep revision of our methodology (This in turn entails a deep revision of the current norms of rationality); that the Hegelian dialectic emerges as the solution to such a radical sceptical challenge, as the true solution to antinomy. A further goal of this dissertation is to use this methodological result to gain a new knowledge of language, consisting of two contradictory moments of cognition that are constructively combined: normativity by means of disposition, and normativity by means of an explicit rule-following. The tangible benefit of such a methodological approach is the possibility of building a systematic philosophy of language that enables the establishment of a dialectical deduction of the moments of the concept of language as moments of the concept of the spirit, in other words, to establish the sense of language. Nonetheless, I must limit myself to exposure to the doctrine of imagination, which encompasses general semiotics and the system of grammar.}, language = {de} }